01 Dicembre 2020, 11:00
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PALERMO – La Corte di Appello di Palermo conferma il dissequestro del patrimonio degli imprenditori Niceta. Il collegio presieduto da Aldo De Negri ha respinto il ricorso della Procura. Nelle 29 pagine della motivazione appena depositata i giudici si allineano, argomentando al provvedimento del 2018 che restituì il patrimonio agli eredi Niceta.
Un patrimonio, per quanto riguarda le attività di commercio di abbigliamento, di cui non resta ormai più nulla. Tutti i punti vendita sono stati chiusi durante l’amministrazione giudiziaria e le società dichiarate fallite. C’è un dato incontrovertibile: i beni furono sequestrati nel 2013 e dopo sette anni siamo ancora al giudizio di appello. Un eventuale ricorso dell’accusa in Cassazione farebbe allungare i tempi di una giustizia che avrebbe dovuto essere veloce per essere giusta.
Il collegio condivide la ricostruzione del tribunale nella parte in cui scriveva che: “Se, in altri termini, si è registrata una contiguità con ambienti mafiosi ed una cultura imprenditoriale che non ha disdegnato la ricerca di ‘corsie privilegiate’ offerte da quegli stessi ambienti mafiosi (peraltro solo per aspetti marginali, come la scelta di punti vendita delle dimensioni e della collocazione preferite), la mancata dimostrazione di uno specifico contributo in favore delle attività del sodalizio degrada il quadro complessivo a quello di un interessante (ma allo stato non sviluppato e non riscontrato dall’effettivo rinvenimento del ritorno economico in favore del sodalizio mafioso) spunto investigativo, o ad un contesto connotato dal rischio di assoggettamento mafioso (allo stato delle acquisizioni, però, non verificatosi o non scoperto), scenari questi che non possono supportare un giudizio di pericolosità per appartenenza mafiosa.”
Anche in secondo grado viene “esclusa la configurabilità di una partecipazione occulta dei Guttadauro agli affari dei fratelli Niceta”, e “deve aggiungersi che le condotte dei proposti sopra evidenziate non risultano mai aver assunto i connotati di un’intermediazione tra gli esponenti mafiosi di riferimento — e in particolare i Guttadauro e, più in generale, i vertici del mandamento mafioso di Brancaccio — e altri imprenditori, potendosi dunque escludere, allo stato degli atti, che essi avessero assunto una funzione di cerniera tra il sodalizio criminoso e il mondo imprenditoriale siciliano. Parimenti, non risulta che le condotte dei Niceta siano qualificabili come perpetrate in violazione dei principi della libera concorrenza e della lecita attività d’impresa, né, tanto meno, che siano state finalizzate alla raccolta di denaro proveniente dall’attività estorsiva. Già in primo grado, e ora viene confermato, era emerso che nelle imprese dei fratelli Massimo, Piero e Olimpia Niceta non sono stati investiti soldi sporchi. Ci sono gravi ombre nel passato del padre, Mario, oggi deceduto, ma non c’è prova che la ricchezza da lui accumulata illecitamente sia servita ai figli per gli investimenti nei negozi di abbigliamento e nel settore immobiliare. Al contrario, c’è la conferma che la famiglia Niceta ha avuto a disposizione importanti risorse economiche lecite. Passa dunque la linea difensiva degli avvocati Roberto Tricoli, Raffaella Geraci, Salvino Pantuso, Sal Mormino, Alessandro Cucina.
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01 Dicembre 2020, 11:00