Niceta e il dissequestro dei beni | "Un incubo, è stata la morte civile" - Live Sicilia

Niceta e il dissequestro dei beni | “Un incubo, è stata la morte civile”

Il negozio di via Roma oggi

Parla Massimo Niceta, uno dei tre fratelli a cui il Tribunale ha restituito i beni dopo 5 anni.

PALERMO – “I Niceta non sono contro la Magistratura e non sono mafiosi, in molti dovranno mettersi in fila e chiedere scusa per quello che ci è successo in questi ultimi anni da incubo”. È un fiume in piena Massimo Niceta, titolare insieme alla sorella Olimpia e al fratello Pietro, del patrimonio dissequestrato dalla sezione Misure di prevenzione dopo cinque anni.

Una vittoria giudiziaria, “ma anche una vittoria per la città di Palermo – dice – che è stata ‘violentata’ e privata di un punto di riferimento nel settore dell’abbigliamento. Io e i miei fratelli abbiamo cominciato a lavorare nel 1994, per decenni siamo stati al centro del commercio cittadino e, alla fine, siamo stati accusati di essere mafiosi. Nel frattempo, quindici nostri negozi hanno chiuso i battenti, sono state distrutte otto società, venti milioni di euro di fatturato sono stati azzerati”.

Niceta si riferisce al periodo in cui le attività sono state gestite dagli amministratori giudiziari: “Un avvocato non può fare l’imprenditore – sottolinea – prima Gigante, poi Monastero e quale è stato il risultato? Dipendenti finiti per strada, padroni di casa e fornitori non pagati. Già, perché con la chiusura dei nostri quindici punti vendita, cento unità lavorative hanno perso il lavoro e duecento fornitori in tutta Italia non hanno più ricevuto i pagamenti. Le conseguenze peggiori le hanno pagate i più piccoli, alcuni dei quali falliti”.

L’imprenditore palermitano si sofferma poi sulle difficoltà quotidiane affrontate a partire dal 2013, anno del sequestro. Quasi cinque anni durante i quali è stata eseguita una complessa perizia ed è esploso lo scandalo che ha coinvolto il presidente della Sezione di allora, Silvana Saguto, finita poi sotto inchiesta. “Quello che ci ha travolto è frutto di un sistema sbagliato – prosegue -. Da anni, insieme ad un altro imprenditore, Pietro Cavallotti, ci battiamo per dire che c’è qualcosa che non va, che sono necessari dei correttivi alla legge che riguarda le misure di prevenzione. Siamo sempre rimasti inascoltati e queste sono le conseguenze: sono necessari cinque anni per una perizia, il sistema è in grado di tenerti inchiodato per anni mentre un amministratore giudiziario distrugge tutto. Non c’era un euro fuori posto nelle nostre attività”.

Ma Niceta ci tiene a dire che l’incubo non è finito. “Questa è soltanto la prima fase. Ce ne sarà una seconda, un altro calvario in cui dovremo fare bene i conti e accertare quanti debiti sono stati accumulati. In questi anni ho conosciuto la “morte civile”, nella vita di tutti i giorni ho dovuto chiedere in prestito l’auto, dire ai miei figli che non c’erano i soldi per fare nulla. Ho avuto difficoltà per fare la spesa e non solo. Sono separato e non ho potuto rispettare il pagamento degli alimenti alla mia ex moglie, circostanza per la quale ho già ricevuto l’atto di precetto. La lotta alla mafia si deve fare, ma distruggere le persone non è possibile, è vietato”.

“Io e i miei fratelli – prosegue – abbiamo inoltre tentato di trovare un altro lavoro, ma abbiamo trovato tutte le porte chiuse. Il danno di immagine è infatti incalcolabile: chi avrebbe mai dato un lavoro a persone considerate mafiose?”. C’è però la voglia di ricominciare. “E’ un dovere. Iniziare da dove siamo stati fermati è per noi adesso un obiettivo fondamentale. Torneremo come prima, più di prima e più arrabbiati. In molti dovranno rispondere di quello che è accaduto, noi, di certo, non abbiamo alcuna paura di dire la verità”.

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