La lavorazione della pietra lavica alle pendici dell'Etna - Live Sicilia

La lavorazione della pietra lavica alle pendici dell’Etna

Da materiale per pavimenti urbani a "ceramica" e forma d'arte: il legame indissolubile con l'artista Messina

Piani cottura, souvenir, basole per le pavimentazioni urbane, arredamenti per interno, oggetti di design ma anche opere d’arte e ceramiche. Alle pendici dell’Etna, in provincia di Catania, con la pietra lavica si fa ormai di tutto e le imprese industriali e artigianali di lavorazione del basalto – questo è la pietra lavica – sono centinaia. Eppure la storia della manipolazione di questo materiale è rimasta praticamente immutata per tanto tempo, esplorando nuovi orizzonti solo negli ultimi cinquant’anni.

Un uomo ha avuto il merito di elevare un prodotto prima ritenuto meramente pietra, utile solo per le pavimentazioni urbane, al rango dei migliori marmi e alla nobile stregua dell’arte. E ha fatto anche di più: ha unito la pietra lavica, la potenza nera della terra etnea, con la tradizione della ceramica e ha inventato la “lava ceramizzata”. Si tratta di Barbaro Messina, artista, artigiano a Paternò, docente di una scuola d’arte che rende noti i segreti della lavorazione della pietra lavica a Nicolosi e patrimonio della Sicilia dal 2005, con l’iscrizione al Registro delle eredità immateriali.

Barbaro Messina, Pietra lavica
Barbaro Messina, immagine Studio Le Nid

La ricerca dell’identità territoriale

Raggiungendo Barbaro Messina nel suo studio, mentre lavora, per chiedergli da dove nasca questa forma di creatività, l’artista mette subito i punti in chiaro. “La nostra è un’attività che riguarda la provincia di Catania e non una sola città. Ho avuto una formazione artistica come pittore e scultore – racconta – e da giovane ero travagliato dalla ricerca della identità territoriale. Ho viaggiato tanto per cercare i segreti della ceramica: il mio obiettivo era creare una ceramica non siciliana ma tipicamente etnea”. Alla fine c’è riuscito, inventando due prodotti: un particolare cotto che nasce mescolando le argille della Valle del Simeto con un macinato di pietra lavica, e poi la lava ceramizzata.

L’intuizione e la “nuova” pietra lavica

Nel 1969 Barbaro Messina fonda il suo Studio Le Nid. La prima sperimentazione per maiolicare la pietra lavica risale al 1978. È lo stesso Barbaro Messina a raccontarci come nasce l’intuizione di unire l’Etna alla ceramica: “Appena ho aperto bottega sono stato fortunato, mi fu portato un frammento di un antico sarcofago rotto. Mi resi conto della presenza di tracce di lava e del fatto che il tempo aveva corroso l’argilla. Facendo delle sperimentazioni su questa argilla ho capito che i greci, i normanni, i romani, gli arabi mescolavano l’argilla etnea, ricca di silicio e molto fitta, con pietra vulcanica. Da qui nasce la tecnica del mio cotto. Mescolando l’argilla con la pietra vulcanica viene fuori un prodotto molto forte, dal colore caldo che oggi è molto richiesto per la bioarchitettura”.

Immagine Studio Le Nid

La “battaglia” di Barbaro Messina

Ma il fine ultimo di Messina era “ceramizzare” per raccontare il territorio. Così, osservando il comportamento della pietra lavica e dell’argilla, la sperimentazione continuò con la sola pietra dell’Etna. “Ai tempi era un materiale di poco prestigio – spiega l’artista – usato solo per fare strade o basolati. Io invece ho appurato una tecnica che rende ceramica i fermenti di pietra lavica, così riesco a sfruttare caratteristiche che l’argilla non può avere. A differenza della ceramica normale – aggiunge – riesco a produrre mattonelle grandi quanto il forno, 3 metri per 2 circa, mentre normalmente una mattonella di ceramica misura 30 centimetri per 30. Inoltre posso infornare il pezzo più di una volta, perché non rischio di far scoppiare la ceramica. Il prodotto finale è superbo e molto più resistente: si immagini una maiolica, una ceramica, di queste dimensioni.

Immagine Studio Le Nid

All’inizio non fu semplice: “Mi presero per pazzo”, ricorda Barbaro Messina. “Il dramma fu trovare una segheria che tagliasse i blocchi di lava. A Catania c’era solo una segheria, che tagliava solo marmo bianco e granito; quando ho portato il blocco di pietra lavica per farmelo tagliare ho aspettato quasi un anno, e quando ho portato le lastre dai marmisti del territorio per le rifiniture, hanno rifiutato il lavoro perché per loro quella era pietra senza valore”.

Non solo arte: pietra lavica e ricerca

Oggi, però, le cose sono cambiate. “Abbiamo una scuola di formazione dove vengono giovani da tutta la Sicilia – dice l’artigiano e docente -. In estate facciamo gli stage per gli stranieri. Ho avuto la fortuna di lavorare con professionisti che si sono interessati al prodotto e hanno fatto delle ricerche su comportamenti in opera della pietra lavica”.

Immagine Studio Le Nid

Così è stato scoperto che anche attraverso gli oggetti la pietra lavica riesce a trasmettere la potenza ctonia dell’Etna. La pietra lavica inoltre è priva di radon ed è l’unica pietra certificata per alimenti. La richiesta di pietra lavica per i prodotti da cucina ha trasformato le piccole botteghe artigiane in grandi imprese specializzate nel taglio della pietra. “La mia più grande soddisfazione – ammette Messina – è aver sensibilizzato i professionisti provenienti da tutto il mondo: alcuni professori universitari hanno sviluppato ricerche sui comportamenti in opera della pietra con l’uomo, della pietra con l’ambiente, sulla reazione biofisica del materiale”. È così che, dalla passione per il territorio, dalla ricerca, dall’amore per l’arte, la Sicilia continua a crescere.

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