Santo Stefano di Camastra, dove la ceramica è identità e cultura

Santo Stefano di Camastra, dove la ceramica è identità e cultura

Visitiamo la "casa" della ceramica, il museo cittadino, tra giare Pirandelliane e antichi commerci

La tradizione della ceramica a Santo Stefano di Camastra, in provincia di Messina, è più che rinomata. Qui la lavorazione della ceramica è più che una forma d’artigianato: è identità, culto e cultura. Basti pensare che nella cittadina, piuttosto che la tradizionale infiorata, viene realizzata “l’inceramicata”. Per assaporare una porzione di questo racconto infinito di pratiche, persone e imprenditorialità, ci si può recare al museo cittadino dedicato alla ceramica.

Il museo della ceramica

È il museo stesso a provare quanto sia profonda la tradizione della ceramica: Inaugurato il 24 dicembre 1994 a Palazzo Trabia, è pensato per essere il “tempio” di storia, arte e tradizioni ma anche luogo vivo di crescita e incontro culturale. Il museo rappresenta quindi la memoria del passato nella riscoperta di antiche tracce e, allo stesso tempo, del sapere del presente.

ceramica a Santo Stefano di Camastra
Museo della Ceramica di Santo Stefano di Camastra

Dai fiaschi alle giare di Pirandello

Attualmente la collezione consiste in una rappresentativa serie di oggetti dell’antica tradizione ceramica stefanese, oggetti d’uso quotidiano legati alle esigenze della famiglia e del lavoro. Fra i tanti pezzi si possono trovare il fiasco o ciascu, i boccali per il vino e l’acqua o cannate, le lucerne a olio a una o più fiamme, fra cui quella detta “di Sant’Antonio” che ne ha ben tredici, la tipica brocca alta e stretta con due manici o bummulu, i contenitori con coperchio per olive e alimenti vari.

E ancora: i vasetti cilindrici o burnie, i piatti decorati con motivi semplici o fangotti, alcune acquasantiere, l’originale anforetta con due manici con all’interno una membrana d’argilla forata per mantenere fresca l’acqua o bic bac, diverse varietà di pigne aperte o chiuse dai colori verderame, giallomiele o bianco che nella credenza popolare avevano un significato propiziatorio; ci sono anche il comune salvadanaio o carusietru, le scodelle di diverse dimensioni screziate verderame o blu comunemente chiamate lemmi e i contenitori per l’acqua o quartare. Il museo ospita anche le famose giare per l’olio o i cereali di cui parla anche Luigi Pirandello nel suo celebre racconto “La giara”, definendo quella di Santo Stefano di Camastra “la badessa” per la sua forma maestosa e imponente. 

ceramica a Santo Stefano di Camastra
Museo della Ceramica di Santo Stefano di Camastra

Infine si trova la vasta raccolta delle antiche mattonelle maiolicate, vero vanto della produzione di Santo Stefano dal XVII secolo ad oggi. Se è vero infatti che i più maestosi palazzi siciliani sono impreziositi dalle splendide mattonelle stefanesi, è anche vero che quella di stagnare e pittare mattoni è stata ed è la vera arte dei mastri ceramisti del luogo. Insieme alla produzione più “povera” degli oggetti d’uso comune e della ceramica artigianale, questi artisti hanno fatto di un piccolo centro una vera e propria città d’arte che continua a imporsi con grande dignità nel panorama culturale ed economico del mercato internazionale.

La lavorazione

Ma da dove nasce la tradizione della lavorazione della ceramica a Santo Stefano di Camastra? Tracce di forni e testimonianze d’archivio lasciano supporre una certa attività sin dall’epoca araba. Dal 1682 poi ci sono dati che attestano il trasferimento a Santo Stefano di maestri ceramisti da Caltagirone, Barcellona Pozzo di Gotto e Patti. Nel Settecento, poi, la richiesta di maiolica inizia ad arrivare da tutto il meridione.

Il processo di lavorazione della ceramica coinvolgeva l’intero territorio. I turrazzara stampatura, così chiamati per via della località Turrazzi, in prossimità delle cave d’argilla, scavavano la creta. Essi avevano il compito di “stampare”, ossia pressare l’argilla in cassette di legno di 22 centimetri. In alcuni casi imprimevano con un marchio di bronzo il nome della fabbrica. La creta asciugandosi si riduceva e il mattone “stampato” raggiungeva la misura tradizionale quadrata dal lato di 20 centimetri.

Una volta asciutti, i mattoni si mettevano a cuocere nei forni a legna. Per la cottura si utilizzavano circa mille fascine di legna. A realizzarla erano gli esperti dell’infornata, gli infurnaturi, specializzati nel sistemare i mattoni dentro il forno utilizzando i ritagghi (ritagli di creta) per evitare che si toccassero l’uno con l’altro durante la cottura. Questa era affidata ai cucitura, addetti al controllo del fuoco che doveva mantenere una temperatura costante. L’operazione di cottura durava circa 20 ore e quella di raffreddamento 48, un tempo superiore rispetto a quello richiesto dagli altri oggetti di ceramica.

Trasporto e decorazione

Al trasporto dei mattoni provvedevano anche le donne, che con una pezza attorcigliata sul capo o cruna riuscivano a trasportare fino a trenta mattoni per volta. I mattoni venivano trasportati dalla contrada Turrazzi ai luoghi d’imbarco a mare o alle botteghe del paese. Qui li si decorava utilizzando degli stampi a mascherine, che consistevano in cartoncini pesanti imbevuti di olio di lino. Una volta asciutti, diventati rigidi e impermeabili, venivano traforati secondo un disegno prestabilito e per ogni colore occorreva usare una mascherina diversa.

ceramica a Santo Stefano di Camastra
L’inceramicata di Santo Stefano di Camastra

I colori più usati erano il verde ramina, il giallo, il blu cobalto, il rosso e il manganese, quasi sempre su smalto bianco, ma alla fine dell’Ottocento si iniziò ad adottare smalti colorati, soprattutto azzurri e gialli. Il prezzo aumentava a seconda della quantità di stampi utilizzati. Dopo la decorazione si procedeva alla seconda cottura, seguendo il procedimento usato nella prima. Ogni decoro ha un proprio nome caratteristico: “rococò”, “cinque punti”, “rigatino”, “lancetta”. Il repertorio dei decori in un primo momento non era molto vasto; quando i ceramisti del luogo vennero a conoscenza della ceramica napoletana, i decori diventarono più numerosi e ricchi.

E questa lunga tradizione esiste ancora, attraverso forme moderne ma esclusivamente artigianali. Gli artigiani stefanesi sono decine e in un recente atlante ne sono stati contati oltre cinquanta, testimonianza della forza con cui la cultura e il culto della ceramica si tengono vivi.

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