18 Giugno 2024, 16:21
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PALERMO – Una mattina di ottobre 2023 i carabinieri di una pattuglia del servizio prevenzione incendi e reati ambientali notano alcuni autocarri transitare lungo la strada provinciale 127, a Bagheria, e fare ingresso in un fondo agricolo. Poi le fiamme e il fumo nero.
Intervengono e identificano alcune persone. Due in particolare, una alla guida di un camion carico di materiale di risulta e l’altra che manovra una pala meccanica. Poco dopo arriva Salvatore Testa. Il terreno è suo, o meglio era suo perché un anno prima è finito sotto sequestro. Apparteneva al padre Nicola, boss e imprenditore deceduto pochi mesi fa.
La ditta individuale di Salvatore Testa si occupa di lavori edili e noleggio macchine. Non risulta iscritta al catasto dei rifiuti. Non più, è stata cancellata.
Assieme a Salvatore Testa lavora il fratello Pasquale. Entrambi sono finiti agli arresti domiciliari: “Hanno continuato imperterriti la loro opera di gestione del traffico di rifiuti trasportandoli e smaltendoli nel terreno di proprietà della famiglia”, scrive il giudice per le indagini preliminari Walter Turturici.
Eppure il terreno e i mezzi erano stati sequestrati ed erano gestiti in amministrazione giudiziaria. Agli atti dell’inchiesta ci sono le conversazioni fra l’avvocato-amministratore, il suo commercialista di riferimento (non sono indagati) e Salvatore Testa. Quest’ultimo era “autorizzato solamente a parlare con i clienti mentre l’amministrazione giudiziaria firmava gli impegni contrattuali”.
Ed invece i Testa hanno continuato a usare a loro piacimento il terreno in contrada Scannicchia. Una zona a rischio idrogeologico, vicina all’alveo del fiume Eleuterio. In teoria è sotto il vincolo paesaggistico, in pratica negli anni sono stati espiantati degli uliveti e creati tre terrazzamenti dove sono stati ammassati rifiuti poi ricoperti con la terra. Per non dare nell’occhio hanno pure piantato degli alberi.
I Testa parlavano di “sistemare quel materiale là sotto” o da “spianare” con “quello grosso (l’escavatore ndr)”. Altre volte i rifiuti venivano bruciati.
Secondo la Procura di Palermo, avrebbero agito “in linea di continuità rispetto all’attività mafiosa del padre finendo per costituire una sorta di proiezione del controllo del territorio esercitato dalla consorteria bagherese”.
D’altra parte i collaboratori di giustizia hanno raccontato che “Nicola Testa era colui che si doveva occupare di tutti gli scavi sul territorio”. La discarica abusiva era redditizia. Gli imprenditori facevano la fila per scaricare illegalmente i rifiuti in modo da abbattere i costi di smaltimento dei materiali di risulta dei cantieri.
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18 Giugno 2024, 16:21