Summit, pizzo e pestaggi | Il pentito fa nomi e cognomi - Live Sicilia

Summit, pizzo e pestaggi | Il pentito fa nomi e cognomi

Da Altavilla Milicia a Palermo: i verbali di Andrea Lombardo.

PALERMO – Da Altavilla Milicia a Palermo. Le conoscenze di Andrea Lombardo, neo aspirante collaboratore di giustizia, partono dalla provincia e arrivano in città. I suoi verbali vengono via via depositati in alcuni processi in corso.

Il summit in provincia
Lombardo racconta di un summit a cui prese parte insieme a “Pietro Flamia, Michele Modica, Giuseppe Costa, Francesco Terranova, Giuseppe Di Fiore, Antonino Virruso, Giorgio Provenzano e Atanasio Leonforte”. Fu allora che “sono stati indicati i vari rappresentanti mafiosi dei paesi. Di Fiore, parlando a nome del capomafia Nicola Greco disse che Nicola Testa era colui che si doveva occupare di tutti gli scavi sul territorio”.
Testa, secondo il racconto di Lombardo, godeva anche dell’appoggio di Nicola Eucaliptus, pezzo grosso della mafia bagherese, il quale “durante i passeggi in carcere mi disse, in presenza di Antonino Di Bella, che aveva rimproverato Gino Di Salvo per i suoi atteggiamenti nei confronti di Testa. Di Salvo era ostile a Testa”.
Sempre in carcere Lombardo sostiene di avere saputo da “Carmelo D’amico che Testa era stato il reggente del mandamento di Bagheria, coadiuvato da Carmelo D’Amico, da Drago Ferrante per la droga e da Bonaccorso fratello del collaboratore. Mi riferì che Testa era in ottimi rapporti con Pitarresi per Villabate”.

L’album di Cosa nostra
Il pubblico ministero Francesca Mazzocco, il 12 novembre scorso, mostra a Lombardo un album di foto segnaletiche. Dopo l’immagine di Testa viene riconosciuta quella di Salvatore Martorana: “Da sempre inserito nelle dinamiche mafiose, Martorana si è prestato a tantissime estorsioni. È stato vicino a Pino Scaduto, Giacinto Di Salvo e soprattutto a Salvatore Scardina”. Il neo dichiarante gli attribuisce cinque estorsioni, confermando il racconto degli imprenditori che hanno ammesso di avere pagato la protezione dei boss. Altro uomo del pizzo sarebbe stato “Totino Lauricella, detto lo scintillone”, boss palermitano del rione Kalsa.

I grandi vecchi dietro le quinte
Salvatore Scardina e Gaetano Tinnirello sono due personaggi che, secondo il racconto di Lombardo, amano stare “dietro le quinte”. Il primo nome saltò fuori assieme quello di Salvatore Martorana, che di mestiere faceva il mediatore immobiliare. Nei paesi siciliani si chiamano sensali. E in un paese, a Santa Flavia, Martorana faceva il consigliere comunale di minoranza, eletto nel 2012 in una lista civica. I carabinieri avrebbero ricostruito il suo ruolo nell’estorsione ai danni di un costruttore, “costretto” a pagare 20 mila euro per avere il via libera all’acquisto di un terreno su cui realizzare degli immobili. La stessa contestazione che fece scattare di nuovo l’arresto di Scardina che in passato è stato condannato per essersi messo a disposizione di Totò Riina e Leoluca Bagarella. Finita di scontare una pena, l’architetto è tornato alla libera professione, dopo avere ottenuto la riabilitazione dal Tribunale di Sorveglianza. Non in Sicilia, ma a Roma. Ed è diventato anche un frequentatore delle serate mondane della Capitale raccontate dalla stampa patinata. Tornava spesso nel suo paese d’origine, Santa Flavia.
Lombardo ora racconta che “tutti mi dicevano che era un soggetto di spessore nell’ambiente mafioso”. Stesso peso che Lombardo attribuisce a Gaetano Tinnirello che per gli investigatori è “un grande vecchio di Cosa nostra”. In primo grado, però, è stato assolto e scarcerato. Lombardo lo tira in ballo per un’estorsione di cui gli avrebbe parlato il padre, Franco. Un’estorsione “chiusa a 30 mila euro”. Non solo: Tinnirello sarebbe intervenuto “per convincere l’amministrazione ad approvare una lottizzazione” e per mediare una controversia fra “Daniele Lauria e i Sacco di Brancaccio”.

Passaggio del testimone
In un precedente verbale del 12 ottobre Lombardo ricostruisce le dinamiche mafiose dei paesi della provincia di Palermo. Ad Altavilla Milicia, ad esempio, “la famiglia era retta da Biagio D’Ugo che assieme a Damiano D’Ugo rappresentava la famiglia di Altavilla Milicia per conto di Bagheria, mentre Pietrò Granà rappresentava Altavilla per conto di Belmonte Mezzagno. All’epoca, infatti, vi era un braccio di ferro di tali famiglie sul territorio”.
Su Damiano D’Ugo aggiunge che “custodiva le armi della famiglia di Casteldaccia ed infatti quando ve n’era bisogno era lui a fornire le armi” e “ha commesso più di un’estorsione”. In particolare, quella subita da un imprenditore che “ha costruito capannoni ad Altavilla Milicia e a Termini Imerese”.

Denudato e umiliato
“Vincenzo Urso è sempre stato inserito in Cosa nostra anche se non ritualmente affiliato”, spiega Lombardo. Che aggiunge: “So che Urso aveva contatti con i vertici di Cosa nostra bagherese, Eucaliptus e Onofrio Monrale, nonché Lo Iacono detto il due di spade. Urso Vincenzo curava tutto ciò che riguardava il cantiere nell’interesse di Giuseppe Tarantino”. Urso è il nipote di un imprenditore omonimo ammazzato nel 2009. Lombardo si è autoaccusato dell’omicidio, chiamando in causa anche il padre Franco. “Dopo sei mesi circa dalla morte di Urso Vincenzo, nipote del mediatore – spiega – Zarcone Antonino si attivò per farci riappacificare con Urso. A seguito di ciò venne organizzato il pestaggio di Urso perché voleva mettere in cattiva luce mio padre. In particolare temeva che mio padre avrebbe potuto indurre la famiglia a chiedere 180 mila euro che Urso doveva a Scaduto Giuseppe per un appartamento di quest’ultimo”. A scatenare la collera fu il fatto che “Urso disse a Zarcone che mio padre era sbirro. Il pestaggio avvenne nell’estate del 2010 o 2011. Hanno partecipato Claudio e Riccardo De Lisi, Pietro Liga, Michele Cirrincione e Gino Tutino”.

In realtà più che un pestaggio fu un’umiliazione: “Al momento del suo arrivo in agenzia Pietro Liga lo invitò a prendere un caffè e poi lo invitò in agenzia. Fu Liga ad aprire la porta agli altri compartecipi. Urso fu denudato ed intimidito ma non picchiato. L’indomani Urso si andò a lamentare con Pietro Granà. Successivamente ci fu un incontro fra Pietro Granà, Urso Vincenzo e mio padre. Si stabilì che tutte le ditte che dovevano vendere immobili costruiti ad Altavilla dovevano passare da Urso che doveva gestire le mediazioni immobiliari. Urso riceveva il 2 per cento per la mediazione e una percentuale per Cosa nostra. Granà Pietro invece avrebbe dovuto occuparsi delle forniture di materiali”.


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