Forse anche George Orwell si toglierebbe il cappello di fronte a questa politica. E direbbe: “Signori, avete superato persino le mie previsioni. E io che credevo di avere un po’ esagerato”. Macché, quella in corso, più che una crisi di governo è una crisi di memoria, una crisi della coerenza da mettere un attimo nel cassetto, come ha indicato lo stesso Beppe Grillo, perché non si trasformi in rigidità.
Ma qui altroché rigidità: è tutto fluido, cangiante, costantemente in movimento. E gli elettori farebbero bene a non sforzarsi di seguire lo scorrere degli eventi, rifugiandosi come fanno da un po’, nel sentimento dell’attimo o nelle posizioni da ultrà a cui va tutto bene, purché lo faccia la squadra del cuore.
I nemici di ieri, infatti, sono i nuovi amici. E gli alleati di ieri – manco dell’altroieri – sono già i reietti. Le istituzioni da abbattere sono diventati baluardi, gli insulti diventano strizzate d’occhio. Accade ovunque.
Matteo Salvini, ad esempio, era “uno stronzo”. O uno dei “due coglioni” in giro per la Sicilia. Spero di perdonerà il ricorso al virgolettato, ma è cronaca. Quella delle dichiarazioni non esattamente di un passante, ma del presidente dell’Ars e del capo in Sicilia di Forza Italia, Gianfranco Miccichè. Adesso, i suoi pubblicamente sperano in quel governo di centrodestra a trazione “stronza”, appunto, stando nella parafrasi. Con buona pace delle ragioni umanitarie e dell’accoglienza. È la realtà che chiama, insomma, quando c’è da scegliere. E soprattutto quando c’è da comprendere in che modo continuare a esistere.
E del resto, a Miccichè avevano strizzato l’occhio pezzi di centrosinistra, pronti ad aprire un laboratorio moderato-centrista-pseudodemocristiano anche con pezzo di centrodestra a cui i renziani adesso, guarda un po’, rimproverano il cambio di rotta, l’idea comunque di lavorare a una alleanza con Salvini.
E lì ci sarebbe davvero da ridere, vista l’apertura di Matteo Renzi a un governo anche con Di Maio, o comunque a un esecutivo sostenuto da entrambi. Ma come? Il segretario Davide Faraone non è stato disarcionato proprio perché, a suo dire, si era pubblicamente opposto a un accordo tra Dem e grillini? Ovviamente per carità di patria sorvoliamo su quanto abbiamo letto in questi anni tra grillini e renziani. Come non detto.
A proposito, a quegli ultra’ che adesso cercheranno la parete meno liscia su cui arrampicarsi per giustificare il “cambio verso” (si diceva così, no?) dei propri rispettivi partiti, consigliamo di dedicarsi anche alla propria bacheca di Facebook. Le citazioni di post passati potrebbero apparire imbarazzanti, oggi.
E in questa operazione ovviamente dovranno dedicarsi a lungo proprio i Cinquestelle. Che a dire il vero, della distopia orwelliana di 1984 hanno incarnato la vera essenza. A cominciare da quella supercazzola chiamata “contratto di governo”. E proseguendo con Tap, condoni, migranti, secondo mandato, doppia morale, Alitalia, gruppi a Strasburgo. A ogni passo, una contraddizione, condita dall’arroganza di chi dice, appunto: “Non abbiamo cambiato idea, l’abbiamo sempre pensata così”. Che è come dire: “L’Eurasia? È sempre stata una nostra alleata”.
Ma tra le tante ridicolaggini di questo recente, grottesco periodo della politica italiana, ne spicca una. Emerge, con tutta la sua forza comica, l’appello di Di Maio a Mattarella, la fiducia nelle mosse del Capo dello Stato. Lo stesso dell’impeachment, per intenderci. Lo stesso da mettere in discussione, da processare. Era l’inizio, a guardarla oggi, di un precipitoso crollo, di uno scivolone bambinesco di fronte alle complessità della realtà. A quel disastro politico che ha consegnato l’Italia a Matteo Salvini. Che adesso diventa ovviamente il nemico numero uno.
E che a ‘balle’ non è stato certamente da meno. Dai numeri sui rimpatri alla voglia di andare avanti fino in fondo, assicurata a più riprese. Ma andrebbe anche detto che nemmeno un politico di scarso acume ed esperienza avrebbe mai creduto al fatto che un partito che arriva in pochi mesi a un passo dal 40 per cento, con l’opportunità vera di andare a governare da solo, decida di “andare avanti altri quattro anni”. Davvero i grillini se l’erano bevuta? Per il resto, il leader leghista ha dimostrato una furbizia politica che ovviamente sconfina nel cinismo. E adesso, in queste ore, viene a raccontarlo proprio a noi, in Sicilia, dove il quadro orwelliano in cui tutto ciò che è stato detto in realtà non fu detto mai, si arricchisce di un elemento che non è solo “etnico”, ma politico. Viene a raccontarla proprio qui la crisi del governo che è una crisi della memoria, qui, dove in tanti hanno dimenticato le sparate antimeridionaliste della Lega.
E così, si riparte. Un bel reset e via alle nuove balle, alle nuove giustificazioni. E c’è già chi dirà: che volete dire? Che non va bene nessuno, quindi? No, qui si vuole dire il contrario. Che vanno bene tutti, se si vuole. A patto di sapere che questa è l’eterna recita del potere di oggi. A patto di sapere che le parole di tutti, oggi, portano addosso una data di scadenza. Quella delle mozzarelle. Meglio regolarsi.