La lettera di un residente| "Si lotta per la sopravvivenza" - Live Sicilia

La lettera di un residente| “Si lotta per la sopravvivenza”

Le bancarelle in via Cavour

Venditori ambulanti, sporcizia e marciapiedi inaccessibili. Lorenzo Matassa, magistrato palermitano residente in via Cavour, in una lettera inviata alla nostra redazione descrive lo stato in cui versa una delle strade più note della città.

il caso ambulanti
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3 min di lettura

PALERMO Pubblichiamo integralmente la lettera inviata alla nostra redazione dal magistrato palermitano Lorenzo Matassa, residente in via Cavour, che mette in evidenza la grave situazione che riguarda la presenza sempre maggiore di bancarelle sui marciapiedi.

“Sulla bandiera del Brasile stanno scritte due semplici parole: ordine e progresso.
A volte basta la semplicità a dare le linee guida di una democrazia.
A quella bandiera penso, ogni giorno, uscendo da casa.
A quella bandiera penso, ogni sera, allorché non posso rientrarvi.
Dovrò adesso spiegarvi perché mi sia difficile il rientro.

Abito in via Cavour, il centro “pulsante” di Palermo.
Fiumi di auto vi accedono dalla piazza Verdi fino al mare e viceversa.
Forse è un sogno pensare che, un giorno, la piazza e la via diventino aree pedonali.
Che la gente possa vivere quel luogo senza la paura di essere falciata dal traffico.
Ma non di questo voglio parlarvi, anche se una buona amministrazione si connota per il coraggio e la qualità delle sue scelte.

Per tanto tempo i marciapiedi della via Cavour sono stati presi d’assalto da bande di predoni extracomunitari con la loro inutile chincaglieria.
Capirete, alla fine di questo articolo, perché io abbia usato queste parole così forti per connotare quei soggetti ed il loro modo di agire.
Fingendo un’autorizzazione alla vendita ambulante (e per questo fanno poggiare i loro espositori su ruote) essi, invece, stazionavano da mattina a notte sui marciapiedi.
Così interamente occupati, i passanti, per proseguire il loro cammino, erano obbligati a scendere sulle carreggiate stradali rischiando di farsi ammazzare dalle auto.

Incuranti delle esigenze dei commercianti di quei luoghi, gli “ambulanti” impedivano alla gente di accedere alle vetrine (che pure tanti soldi versano al Comune per l’esposizione).
La casbah è cresciuta, di giorno in giorno, a dismisura.
Come dei veri e propri predoni delle aree pubbliche, gli “ambulanti”, datisi parola, hanno fatto di quella via un privato bivacco: vi hanno anche cucinato, giocato a carte, urinato (nell’area che distanzia “La Feltrinelli” dalla Banca d’Italia).
Non disdegnando violenze verbali e fisiche a chi li invitava a spostarsi.
Del resto era facile.

La Polizia municipale li guardava – impotente – perché il Sindaco nessuna regola aveva posto fino a qualche giorno fa.
Una sera, tornando a casa, l’accesso al mio portone era impedito da più di una di quelle immense tavole con rotelle imbandite di cose inutili.
Ho invitato l’extracomunitario (con barba e copricapo da musumulmano osservante) ad allontanarsi da quel luogo per farmi accedere alla mia casa.
Ne ricevevo la risposta che lui non si sarebbe tolto da lì e che ero io che dovevo abbandonare quel luogo ormai divenuto suo.

Per farsi ragione mi spingeva e mi minacciava di colpirmi.
Ho compreso – in quello stesso momento – che non più di occupazione abusiva si trattava, ma di vera e propria “lotta per la sopravvivenza”.
Il predone era riuscito, grazie alla disamministrazione e all’indifferenza della città, a sfrattarmi dal luogo in cui sono nato e ho vissuto.
Adesso, il Sindaco ha regolato con una sua ordinanza l’accesso alla via.
Ne sono seguite proteste e minacce di darsi alle fiamme da parte degli “ambulanti”.
Queste reazioni mi confermano l’idea che è in corso una strana lotta.
Una lotta di civiltà.
Da una parte vi sono le regole che esigono l’ordine ed il decoro di una città europea.
Dall’altra vi sono coloro che a quelle regole non vogliono sottostare, pensando di imporci un modo di vivere anarchico e selvaggio.
Adesso i palermitani scelgano.
Senza farsi intimorire dal fuoco che non può bruciare una democrazia”.

Lorenzo Matassa


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