CATANIA – Una sentenza che non ha precedenti. E che equipara i diritti del genitore “intenzionale” a quelli del genitore biologico. Una decisione che rivoluziona il diritto di famiglia e “che pone rimedio a un vulnus”, come scrive il giudice, nei casi di omogenitorialità di fronte a una separazione.
L’ha emessa, lo scorso 25 luglio, il Tribunale per i Minorenni di Catania nel caso di un figlio conteso tra le sue due mamme, quella biologica che ha portato avanti la gravidanza e quella “intenzionale”, che ha sostenuto, moralmente ed economicamente la compagna, pur non avendo alcun legame di sangue con il minore.
La vicenda
Ma andiamo con ordine. La vicenda inizia quasi dieci anni fa. Luana e Stella (i nomi ovviamente sono di fantasia) si conoscono e si innamorano: vanno a convivere e pianificano di avere un figlio. Per farlo, dal momento che in Italia non è consentita la procreazione medicalmente assistita (Pma) per coppie omosessuali, volano in Spagna, a Barcellona. Compilano la scheda per la scelta del donatore, firmano entrambe il contratto e inseriscono le caratteristiche di entrambe le mamme, Luana che porterà avanti la gravidanza, e Stella.
Qualche tempo dopo nasce Carlo. Le due genitrici decidono allora di unirsi civilmente ma, dopo qualche tempo, la coppia scoppia: Luana torna a vivere con i genitori e porta con sé Carlo. Da qui, però, nasce il dramma. Stella non ha subito riconosciuto il figlio, “probabilmente si sentiva tutelata dall’unione civile”, riportano i giudici. Ma adesso?
Decide di presentare domanda di adozione per poter continuare a essere “mamma Stella” per il piccolo Carlo, ma Luana si oppone, non vuole, sostiene di essere lei la madre. Inizia una lunga battaglia legale.
Stella, difesa dall’avvocato Nicola Platania del Foro di Catania, porta avanti la propria istanza: quel figlio, lei, lo ha fortemente voluto, nonostante la ex compagna sostenga il contrario negando “l’assenso all’adozione – si legge – sostenendo di essere ella genitore unico, negando alla ex compagna di avere voluto anche lei il bambino, indi di essere ella genitore intenzionale di Carlo”.
La battaglia legale
Nonostante ciò che sostiene la madre biologica, “Dalla documentazione emerge che le spese economiche per l’avvio del trattamento di riproduzione assistita prima, e della procedura di fecondazione in vitro dopo, sono state sostenute da entrambe le donne, e che i relativi impegni sono stati assunti da entrambe”, riporta la sentenza. Quindi, Stella ha messo i mezzi per avere un figlio. Lo ha voluto, secondo i giudici.
Non solo: “Dalle dichiarazioni rese dal minore in udienza e ancor prima al Servizio sociale – si legge ancora – emerge senza dubbio la significatività del rapporto esistente”. Carlo racconta agli assistenti di “mamma Stella”, “Voglio dire al giudice che io voglio stare con la mia mamma Luana, io voglio decidere quando vedere mamma Stella. La mamma Luana mi ha raccontato che la mamma è solo una, quella che ti ha partorito nella pancia”.
Luana sostiene che la ex compagna “non può essere considerata per ciò madre intenzionale non avendo mai avuto un istinto genitoriale materno, a differenza della resistente”, affermando sì di essere stata sostenuta ma di non aver condiviso sin dall’inizio il “progetto genitoriale” “è partito da me e lei non si è opposta” – riporta ancora l’atto.
Ma le deduzioni difensive, per il giudice, sono “del tutto destituite di fondamento”. Ritenuta, in fatto, Stella, “madre intenzionale del minore, significativamente legata al predetto e a lui interessata – continua il giudice – occorre a questo punto verificare, in diritto, quale veste giuridica attribuire alla intenzionalità genitoriale e al rapporto esistente tra Stella e Carlo per garantire al minore il diritto alla bigenitorialità”.
Il diritto
Il collegio richiama la motivazione della sentenza della Corte costituzionale, la n. 68 del 2025 “che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita). Nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio. Riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale”.
Non solo. Il collegio evidenzia come la volontà espressa di avere un figlio ponga anche il genitore non biologico nella condizione di genitore tout court per quel che riguarda “quel fascio di doveri funzionali agli interessi del minore che l’ordinamento considera inscindibilmente legati alla scelta di divenire genitori – si legge. Con la significativa motivazione della sentenza citata, la Corte Costituzionale richiama le mutate tecniche di procreazione medicalmente assistita che hanno visto emergere una responsabilità genitoriale nuova che scaturisce dalla volontà che porta un bambino alla nascita e che, al tempo stesso, comporta il diritto del nato a vedersi riconosciuto come figlio di chi quella nascita ha voluto”.
In poche parole, “La volontà, l’intenzionalità genitoriale, riconoscibile attraverso il consenso prestato al ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, diviene oggi dunque un atto di assunzione di responsabilità genitoriale anche in ipotesi di scissione tra identità biologica e identità giuridica”.
I giudici infine riconoscono che ‘Senza dubbio l’interesse del minore consiste nel vedersi riconoscere lo stato di figlio di entrambe le figure – la madre biologica e la madre intenzionale – che abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale attraverso il ricorso a tecniche di procreazione assistita.
“Una sentenza epocale”
Il riconoscimento, per sua natura, opera da subito e indipendentemente dalle vicende della coppia e da eventuali mutamenti, al momento della nascita, della stessa volontà delle due donne che hanno fatto ricorso alla PMA e in particolare della madre intenzionale”. E decretano adozione.
“Una sentenza epocale”. L’avvocato Platania commenta così la decisione dei magistrati etnei. “Una vittoria non della mia cliente ma del bambino che non dovrà più scegliere tra l’una o l’altra genitrice e potrà vivere pienamente il suo status di figlio”.

