Lettera al premier nell’Isola dannata | Caro Matteo, rottamiamo la Sicilia

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14 Agosto 2014, 06:00

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Caro Matteo, intanto scusa se ti diamo del tu. E’ che i giorni di quella politica – quando ad Andreotti si dava dell’”eccellenza” – sono tramontati in un turbine di manette, cataclismi e sentimenti contrastanti per gli occhiali di Craxi e Forlani, occhiali da Prima Repubblica. Da Berlusconi in poi, il pronome più usato ha assunto un tono confidenziale. Il comandante della nave è personaggio mediaticamente vicino, come un cantante, come un calciatore. Quando la nave rischia di affondare – e questa nave che tu stai visitando, con un piede già sulla tolda procede dritta verso gli scogli – sarebbe stupido dare del ‘lei’ al nocchiero, con l’ultimo grido d’aiuto.

Caro Matteo, ecco il punto, questo è proprio un grido d’aiuto. Un messaggio in bottiglia a catastrofico naufragio imminente. La Sicilia è lì lì per scomparire. Continuerà ad esistere nella sua dimensione fisica di deserto, ma il suo cuore smetterà di pulsare. Possiamo ancora salvarla? Puoi salvarla tu con le prerogative da premier e le stimmate del cambiamento che porti sempre con te? Ti interessa sul serio? Possiamo salvarla noi?

Se c’è una parola che pare consona al contesto è proprio “Rottamazione”. Vocabolo forse un po’ detestabile per i puristi, probabilmente con una sottolineatura subliminale di aggressività. Eppure “Rottamazione” sembra il sostantivo adatto accanto all’aggettivo “Siciliana”. Appunto, “Rottamazione Siciliana”. E vediamo l’effetto che fa.
Cosa significa rottamare la Sicilia? Una serie di cose, tutte urgentissime, che andavano fatte ieri e che sarà troppo tardi rimandare a domani. Il malato sta morendo. L’unica cura sostenibile è una terapia d’urto. Da subito. La malattia è nota, anche se latita il rimedio, con le sue micidiali declinazioni.

Vogliamo entrare nel merito? Per esempio, questa terra – che noi isolani lodiamo perché bellissima, nel momento stesso in cui la distruggiamo, come se ci piacesse nella sua dimensione metafisica di immagine e non riuscissimo a reggerla nella concretezza delle sue opportunità e dei suoi problemi – è afflitta da un politica clientelare quanto sorda. Il meccanismo del voto di scambio è direttamente proporzionale alla sua inefficacia. Gli eleggibili del popolo devono risultare scarsi, solo così nutriranno qualche speranza di accedere agli stipendi e alla decadenza del cosiddetto “Parlamento più antico del mondo”. C’è una classe dirigente talmente lontana dalle necessità dell’epoca contemporanea che non si rende nemmeno conto dei doni piovuti dal cielo.

Una umilissima parabola. Qualche tempo fa, Google (sì, Google!) ha organizzato un meeting a Selinunte, spendendo migliaia di euro per la sistemazione dei luoghi e regalandoci uno spot gratis, senza mafia, né mafiosi. Ebbene, l’assessore al ramo ha quasi protestato, lamentando “l’uso consumistico dei beni archeologici”. Non solo siamo poveri e pazzi. In aggiunta mordiamo la mano del benefattore che, certo, segue i suoi interessi, nel regalarci servizi e palcoscenici comunque insperati.

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E qui ricadiamo in uno dei tanti centri di una piaga complessiva e multicentrica. No, non è il ‘ciaffico’. E’ l’incapacità della Sicilia di costruire un modello di sviluppo intorno alla sua mirabile bellezza. Ci sono lupanari del mondo in cui ogni sassolino, purché sia appena passabilmente antico, viene venduto a peso d’oro. Noi sputiamo sulla nostra meraviglia. Calpestiamo i cocci di luce di cui è intessuto il nostro cammino. Ci rifiutiamo di compilare un’agenda minima. Tutto sia spontaneo, inaspettato e legato ai giri di boa della fortuna. Se l’Isola dei dannati fosse ripopolata da una colonia di svedesi, saremmo immersi in una beatitudine di fama e di ricchezza perenne. Così non è.

Vedi, Matteo, non si fa in tempo a scoprire una ferita che si passa subito alla successiva. La sciagurata concatenazione esposta si lega all’incapacità di programmare, di immaginare, da cittadini responsabili, un ordine civile e politico soddisfacente. Dell’interesse collettivo si occupino immancabilmente “gli altri”. Siamo assistenzialisti nell’anima. Affondiamo, senza puntare i piedi, senza muovere le braccia, aspettando una corda tesa che non arriva mai. E quando, puntualmente, non arriva, bestemmiamo contro i politici che noi stessi abbiamo elevato a fortune senza virtù. Siamo l’Alfa e l’Omega di una compiaciuta rovina. Da sudditi sguazziamo nel disastro, perché, da meridionali, coltiviamo un insano apprezzamento della commedia a ogni costo, una sconsiderata fiducia nel lieto fine. Siamo come bambini che attendono l’apparizione del super-eroe di turno.

Anche tu, premier pro tempore, come ogni re straniero di passaggio qui, assolverai alla medesima funzione dei tuoi predecessori. Verrai, nel contesto di due difficili vertenze. Dirai. Benedirai. La gente ti ascolterà, battendo le mani, o fischiando, magari sperando tra sé e sé: “Ci pensa iddu” (ci pensa lui). Invece, non ci occorrono altri sovrani, né conquistadores, né sapremmo che farcene dell’ennesimo mister che cala dai colli romani per prometterci il prodigio della salvezza alla penultima giornata.

Abbiamo bisogno che tu pronunci parole vere e spietate. Abbiamo bisogno dello schiaffo in faccia,  dello shock, delle terribili verità, accompagnate dalla fatica delle speranze che si raccolgono attraverso impegno e sudore. Abbiamo bisogno di imparare il gusto violento della libertà. Qui, in una patria desolata, c’è uno degli snodi essenziali di un governo che ha garantito l’avvento di un Paese migliore. Qui si misureranno risultati e rimpianti. Qui si vedrà se la speranza è moneta sonante o carta straccia.
Per favore, rottamiamo insieme il passato, per costruire una nuova prospettiva e uomini nuovi. Con una postilla. Le rivoluzioni in politica vanno bene quando tagliano i rami secchi, ma salvano le persone. Troppo facile segare carne e ossa. Troppo semplice il mestiere del boia che elimina l’emicrania con tutta la testa. Rottama la Sicilia, Matteo. Però ricordati della premessa non eludibile che può diventare promessa, lotta, aspirazione. La Sicilia va rottamata. I siciliani vanno salvati.

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14 Agosto 2014, 06:00

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