PALERMO – “Non c’è un numero sufficiente di allievi? Non mi interessa: la firma al posto loro la metti tu”. Il corso di Formazione, sulla carta, era richiesto dal mondo del lavoro. Insomma, il mondo produttivo aveva davvero bisogno degli “operatori di amministrazione segretariale”. Una professione così richiesta da non riuscire ad attrarre, in quel corso di formazione che al mestiere avrebbe dovuto accompagnare i giovani allievi, nemmeno 15 persone. Ma quindici persone servivano. Servivano all’Ancol, per poter ottenere i finanziamenti dell’Avviso 20. Più di 98 mila euro, in questo caso. Ma servivano quei quindici allievi. La soglia minima. Altrimenti, niente soldi. A Priolo, 15 ragazzi interessati alla professione di “operatore amministrativo segretariale” non si trovavano. Così, scrivono gli inquirenti nell’ordinanza che ha portato agli arresti eccellenti di Messina, si è fatto di tutto perché comunque quindici “adesioni” saltassero fuori. Anche all’insaputa dei diretti interessati.
È questo uno dei fatti raccolti nell’ambito dell’inchiesta sulla Formazione del Messinese. Vicende che chiamano in causa direttamente Daniela D’Urso, moglie di Giuseppe Buzzanca, e Melino Capone, allora commissario dell’Ancol. “L’Ancol in ordine al menzionato corso da realizzare a Priolo, – scrivono gli inquirenti – non riusciva a raggiungere il numero necessario di allievi per dare avvio all’attività formativa. Rischiando di perdere il finanziamento, si dava corso ad un’operazione di falsificazione di firme e documenti finalizzata a fare apparire come raggiunto il numero minimo di allievi”. E al centro della vicenda, come detto, ecco la D’Urso, direttore in quel periodo della sede Ancol di Messina. La moglie di Buzzanca, nel settembre dello scorso anno contattava Daniela Pugliares, dipendente dell’Ancol presso la sede di Priolo. “La D’Urso, – si legge nell’ordinanza – con atteggiamento infastidito e perentorio, lamentandosi del fatto che ancora l’interlocutrice non fosse riuscita a raggiungere il numero di 15 iscritti al corso, cosa che avrebbe comportato la perdita dei finanziamenti, invitava l’interlocutrice ad attivarsi e, in caso contrario, a falsificare i documenti apponendo ella stessa le firme («ci metti la firma tu !»)”. E i magistrati precisano che la D’Urso non si sarebbe limitata al consiglio: “L’invito – peraltro, perentorio – della D’Urso non era semplicemente un modo di dire: infatti, come si vedrà appresso, i documenti venivano effettivamente falsificati”.
Insomma, alla fine i quindici nomi salteranno fuori. Nonostante le difficoltà della Pugliares, incaricata di trovarli a Priolo. Ne mancavano tre. Un’impresa complicata. Il paese è piccolo, e alcuni ragazzi che avevano frequentato il primo e il secondo anno di quel corso, non avevano intenzione di proseguire. “L’attivismo della Pugliares – raccontano allora gli inqurenti – rimaneva inizialmente senza esito. Infatti il successivo 3 ottobre comunicava alla D’Urso che continuavano a mancarle tre allievi. Cosa che scatenava la reazione dell’interlocutrice, la quale, nuovamente, intimava alla Pugliares di fare partire il corso con quindici allievi, indipendentemente da quanti, poi, avrebbero frequentato, altrimenti avrebbero perso i finanziamenti ed avrebbero dovuto ridurre l’orario di lavoro o licenziare qualcuno dei dipendenti; esortandola, perciò, a recuperare tre giovani sfaccendati che, dopo iscritti, si sarebbero ritirati; cosa che l’interlocutrice rappresentava come difficile, operando in un piccolo paese. La D’Urso, tuttavia, – proseguono i magistrati – non si rassegnava, continuando ad esortare la Pugliares a darsi da fare, all’occorrenza offrendo dei regali per convincere i giovani a fare gli esami per poi ritirarsi”. Tra le “idee regalo” anche ricariche telefoniche da cento euro.
Dopo tante telefonate e ricerche, la Pugliares riesce a inviare una lista con quindici firme. La D’Urso la “gira” a Melino Capone, commissario dell’Ancol che a sua volta la presenta all’assessorato. Sembra tutto a posto per “incassare” il finanziamento da 98.300 euro. Sembra.
Nel frattempo, era già partita l’indagine della Procura di Messina. Così come le intercettazioni. Che svelano una realtà paradossale. Vengono convocati uno per uno i ragazzi che “formalmente” avrebbero dovuto prendere parte al corso per “operatore amministrativo segretariale”. Ed ecco la scoperta: molti di loro erano sì iscritti al corso. Ma a loro insaputa. Uno, due, quattro, cinque ragazzi vengono chiamati a riconoscere la propria firma apposta in calce al progetto. E i giovani spiegano di non aver mai firmato nulla. La conferma è data dal semplice confronto tra la loro firma apposta davanti agli inquirenti e quella presentata dall’Ancol. In altri casi, la firma è autentica. Ma è stata raccolta con l’inganno. “Riconosco come mia la firma apposta sul foglio – racconta ai magistrati uno dei giovani – che mi ponete in visione, e ricordo di aver apposto la mia firma, sul medesimo, in occasione dell’esame da me sostenuto alla sede di Siracusa dell’Ancol, presso l’Ipsia, di cui vi ho riferito poc’anzi, alla fine dell’estate 2011; sono sicuro di averlo firmato in quella occasione in quanto mi sono recato una sola volta presso l’Ancol”. Quella firma, quindi sarebbe stata apposta in un’altra occasione, “riciclata” e utilizzata per raggiungere la fatidica quota quindici. A qualche altro ragazzo viene invece spiegato che la sua firma sarebbe servita solo per far partire il corso, dando ad altri giovani, così, la possibilità di frequentarlo. Una cortesia.
Alla fine, comunque, il finanziamento non arriverà all’Ancol, visto che l’ente non avrebbe percepito acconti sull’importo finanziato. L’Ancol non ha potuto richiedere l’acconto perché non è stato in grado di ottenere la necessaria fidejussione. Così, il raggiro non va a buon fine. Rimane solo un tentativo fallito. Nonostante il convincente invito di Daniela D’Urso, ancora una volta rivolta alla collega della sede di Priolo: “Ascoltami gioia…se voi non mi fate partire questo corso, – dice, intercettata dagli inquirenti – salta un posto di lavoro… dico io chistu ti staiu dicennu… tu m’a fari partiri, sto corsu .. cu chinnici cristiani… che poi ne frequentano dieci… otto .. non mi interessa… ma se tu non me lo fai partire con quindici io debbo dire a Palermo che lo debbo chiudere… perdiamo il finanziamento… e debbo mettere a Titti e a Mirella a diciotto ore e diciotto ore…stop, a meno non c’è Titti, quindi Titti….Mirella se ne va a casa e rimane Titti… figghioli non ho altro da farvi .. io vi …cerco di aiutarvi a trecento sessanta gradi…ma voi dovete aiutare me…”. Un aiuto per far partire quel corso. Anche se quel corso non interessa a nessuno.