PALERMO – “Siamo rimasti da soli, io e mia figlia Asia”, dice Giuseppe Giordano. Gli scende una lacrima. Sarà l’unico segno esteriore del dolore immenso che si porta dentro. Il 3 novembre 2018, a Casteldaccia, nel Palermitano, morirono in nove all’interno di una villetta travolta dal fango e dall’acqua esondata dal torrente Milicia. Giordano è l’unico sopravvissuto. Ha perso la moglie Stefania, i figli Federico, 15 anni, e Rachele, un anno, i genitori, un fratello, una sorella, un nipote di tre anni e la nonna di quest’ultimo. Asia non era in casa, era andata con lo zio a comprare i dolci.
Ieri, in primo grado, sono stati condannati tre imputati per omicidio colposo. Giordano era costituito parte civile con l’assistenza degli avvocati Anthony De Lisi e Angela Ajello. “Sono deluso per l’entità delle condanne – spiega -. Si passino una mano nella coscienza. Ho più persone morte che vive in famiglia. Il dolore è eterno, non sarà certo una sentenza ad allievarlo”.
Di quel giorno ha un ricordo nitido. Impossibile dimenticare le ultime parole pronunciate dal figlio Federico. “Mi ha detto ‘papà ci penso io a Rachele’. Lei era sul girello e l’ha presa in braccio. Stavamo raccogliendo le cose per andare via. L’acqua iniziava ad entrare in casa”. Giordano, come tutti, è stato travolto da un’onda melmosa. “In un istante è stato il buoi”. La furia dell’acqua lo ha trascinato all’esterno della villetta abusiva. È stata la sua salvezza. Ha perso conoscenza. Quando si è svegliato si è ritrovato ai piedi di una albero. Si è arrampicato e ha iniziato a urlare i nomi dei suoi cari. Silenzio. “Pregavo, Dio aiutaci tu”.
Era una giornata di festa. Qualche goccia di pioggia ha interrotto la grigliata. Si sono trasferiti all’interno. Musica, risate. Nulla che lasciasse la sciagura. Giordano ha cambiato città per provare a cambiare vita. Aveva un negozio di scooter, oggi fa il cameriere a Milano. “Ogni cosa, ogni luogo, ogni angolo mi ricorda la mia famiglia – spiega -. Mi giro e li vedo ovunque. Piangevo sempre, una mia cugina mi ha detto di andare da lei a Milano. Sto provando a resistere, lo devo a mia figlia. Ora è lei la mia vita. Ci diamo forza a vicenda”.
La villetta della morte era abusiva. Nessuno ha compreso il pericolo che si correva. Nemmeno Giordano: “È una zona piena di case e di gente. Mica c’era la nostra casa in affitto, ma come potevo immaginare quello che sarebbe accaduto”. Il processo è ancora al primo grado di giudizio. La difesa degli imputati ritiene ci siano i presupposti per ribaltare il verdetto. E se accadesse? “Non me lo auguro, la giustizia è una bandiera issata per i nostri cari defunti”.