Catania piange Schilirò |Il guru della comunicazione

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22 Gennaio 2017, 11:20

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Ciò che fa sì che il ricordo di una persona rimanga inalterato a distanza di tempo dalla sua morte è la qualità di ciò che ha fatto in vita. Spesso lontano dalle luci dei riflettori pur avendo contribuito a far sì che si accendessero, senza rivendicare per sé meriti e onori ma costruendo le condizioni perché altri ne fossero beneficiati; operando nel silenzio operoso della quotidianità perché una città e la sua comunità potessero godere di una immagine di sé migliorabile e da migliorare. Forse è per questo che il ricordo di Antonio Schilirò, a due anni dalla sua morte, è così luminoso in tutti coloro che lo hanno conosciuto, siano stati i suoi amici di una vita o le amicizie più recenti coltivate in una delle sue innumerevole rinascite. Antonio è stato tante cose: un intellettuale, un funzionario comunale al servizio delle istituzioni, un comunicatore geniale e inafferrabile, un uomo in balia delle sue debolezze, con una carica vitale fortissima quanto la sua malinconia, latente in ogni sguardo; la sua capacità di sdrammatizzare esondante tanto quanto la sua inesauribile verve creativa, che ha messo al servizio di questa città, senza che i suoi abitanti lo sapessero. Perché Antonio è stato uno degli uomini che hanno edificato la Primavera catanese degli anni ’90, quella incarnata da Bianco anche grazie alla sua capacità di raccogliere attorno a sé una squadra con alcune delle menti migliori della città: decine le iniziative culturali, artistiche, musicali, alle quali Antonio ha dato il là o attorno alle quali ha saputo cucire l’abito migliore per mostrarle all’esterno, ad una Italia che guardava a bocca aperta quello che stava succedendo alle pendici dell’Etna. Ma ha saputo farlo anche dopo, quando ha messo le sue competenze al servizio di amministrazioni distanti dalla sua storia politica, da vero civil servant; facendosi apprezzare dalla destra catanese che ha visto in lui un uomo animato da una sacra passione laica, sempre ravvivata da una cultura vasta e raffinata, che non sconfinava mai nel furore ideologico partigiano.

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Era difficile non volere bene ad Antonio. Non rimanere travolti da quella sua vitalità decadente che ti travolgeva ogni volta lo incrociassi nelle “sue” piazza Duomo e piazza Università. E siamo stati in tanti ad avergliene voluto, e ad aver ricevuto in cambio un affetto incondizionato, solidarietà umana e pillole di saggezza sofferente che spesso hanno saputo indicare la strada. Il minimo che possiamo fare, per lui, oggi è ricordare ai tanti catanesi che non lo hanno mai né conosciuto né sentito nominare, che in molte delle cose migliori che Catania ha prodotto, dall’inizio degli anni ’90 in poi, c’era lo zampino di questo signore con i baffi, il panciotto alla Philippe Daverio, la sua intelligenza e la sua umanità.

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22 Gennaio 2017, 11:20

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