La paura, il deserto e la speranza | “Così ho raggiunto la Sicilia”

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10 Giugno 2014, 20:19

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PALERMO – Un racconto drammatico che dimostra quanto difficile, se non impossibile, sia frenare l’ondata di sbarchi di clandestini sulle coste siciliane. Ad organizzare le traversate della disperazione sono bande senza scrupoli capaci persino di puntare la pistola alla testa degli impiegati degli aeroporti per fare salire in aereo persone senza documenti.

Accade anche questo nella lunga odissea dei migranti. A raccontarla sono alcuni degli immigrati giunti a Palermo a bordo della nave Sfinge della Marina militare che il 5 giugno ha salvato più di 300 clandestini in balia del mare, a largo del Mediterraneo. La polizia ha fermato Pap Job, 24 anni, e Lamine Mamoda, di 25, entrambi senegalesi. Farebbero parte dell’organizzazione che “raccoglie” i disperati in Sudan e Libia. Il giudice per le indagini preliminari Lorenzo Matassa deciderà nelle prossime ore sulla convalida del fermo.

Ecco come alcuni eritrei hanno ricostruito il loro viaggio da incubo. Che inizia nel 2011 quando “ho deciso di lasciare il mio paese perché non avevo intenzione di arruolarmi nell’esercito e così sono andato in Etiopia”. È solo la prima tappa. Dall’Etiopia “dopo avere attraversato il deserto del Sahara in dodici giorni sono arrivato in Libia nella città di Jabia dove sono rimasto due settimane chiuso in un magazzino”.

Pochissimo cibo, pochissima acqua: “Poi mi hanno spostato nella città di Bengasi, in Libia, dopo sono rimasto per altre tre settimane”. Poi, il racconto tira in ballo altre complicità: “Il 4 maggio mi hanno portato a Tripoli a bordo di un aereo di linea. Infatti i trafficanti hanno pure appoggi con gli impiegati dell’aeroporto e il biglietto anziché pagarlo 50 dinari lo abbiamo pagato 600 dollari. All’aeroporto di Bengasi c’è un militare che obbliga con una pistola gli impiegati dell’aeroporto per fare salire chi come noi non ha documenti al seguito”.

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I controlli sono inesistenti: “A Tripoli siamo stati fermati dai militari dell’aeroporto e arrestati per una notte”. Una farsa: “Uscito dalla caserma abbiamo ripreso i contatti con i trafficanti e siamo rimasti per circa un mese dentro una casa”.

Sulle coste libiche, a Tripoli, c’è il punto di raccolta dei disperati: “Il 4 giugno abbiamo aspettato fino all’alba. Siamo partiti in più di cento a bordo di un gommone e siamo stati recuperati in mare da una nave militare. Il viaggio è stato organizzato da tale Jamal che è un eritreo che collabora con i Libici. Il viaggio in totale mi è costato 3200 dollari i soldi sono stati dati dai miei parenti ai soggetti delle organizzazioni”.

 

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10 Giugno 2014, 20:19

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