“Sostegno a boss di Serradifalco” |La parabola del simbolo antimafia - Live Sicilia

“Sostegno a boss di Serradifalco” |La parabola del simbolo antimafia

Una storia di mafia di paese travolge i piani altissimi dell'antimafia, quella inserita nei palazzi romani del potere e nei salotti dell'economia. Una parabola paradossale che un anno dopo le indiscrezioni di stampa arriva a una prima svolta con le contestazioni dei magistrati.

Il caso Montante
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PALERMO – E alla fine, un anno dopo le notizie di stampa sull’indagine a suo carico per concorso esterno in mafia, arriva un avviso di garanzia ad Antonello Montante, presidente degli industriali siciliani. E di diverse altre cose. La vicenda dell’imprenditore nisseno, che oggi è stato oggetto di una serie di perquisizioni domiciliari disposte dalla procura di Caltanissetta, è una delle più singolari parabole dell’antimafia, che vive ormai da tempo una stagione per lo meno tormentata. Dell’antimafia organizzata Antonello Montante è stato per anni considerato un alfiere: promotore con il “gemello” Ivan Lo Bello della svolta “legalitaria” e antiracket degli industriali siciliani, delegato per la legalità della Confindustria nazionale (incarico che tutt’ora ricopre), poche settimane prima della pubblicazione della notizia sull’indagine aperta a suo carico per le dichiarazioni di alcuni pentiti, era stato persino scelto da Alfano e Renzi per un incarico di primo piano nell’Agenzia nazionale che si occupa di quei beni confiscati a Cosa nostra, divenuti poi pietra dello scandalo per un’altra indagine nissena. Incarico che nei mesi scorsi Montante ha lasciato.

L’inchiesta per concorso esterno a suo carico – che secondo ricostruzioni di stampa risalirebbe a giugno 2014 – ha insomma colpito l’antimafia ai suoi piani più alti. L’antimafia imprenditoriale che negli anni si era strutturata e rafforzata come influente lobby, come la Sicindustria non era più stata forse dai tempi di Mimì La Cavera. Influente anche e soprattutto nei confronti della politica. Basti pensare alla presenza costante di un esponente espressione della Confindustria (Marco Venturi prima e Linda Vancheri poi) nelle giunte regionali di Raffaele Lombardo e Rosario Crocetta.

Ma il peso del leader confindustriale non si esaurisce certo nei confini siciliani. Da delegato di Confindustria per la legalità era lui a tenere rapporti con prefetti, questori, esponenti del governo. E anche magistrati di chiara fama in più di un’occasione tessero pubblicamente le lodi della svolta legalitaria della Confindustria dello scortato Montante. Protetto dallo Stato perché esposto nei confronti della mafia e dallo Stato al contempo indagato perché sospettato di brigare con la mafia stessa. Un paradosso quasi pirandelliano che ha travolto l’immagine dell’antimafia e della retorica legalitaria, poi minata da altri scandali corredati a volte dalla pistola fumante (vedi la mazzetta nel caso Helg) di cui in questa vicenda ancora non si inquadrano i contorni.

Sono pesanti le ipotesi di reato prospettate dai magistrati nisseni nell’avviso di garanzia che ha accompagnato le perquisizioni di oggi. Il concorso esterno in mafia viene contestato a Montante perché, secondo l’ipotesi investigativa, avrebbe messo “in modo continuativo a disposizione in particolare di Paolino e Vincenzo Arnone (padre e figlio, rispettivamente consigliere e reggente della famiglia mafiosa di Serradifalco, ndr) la propria attività imprenditoriale”. Una vicenda insomma, che sarebbe nata e cresciuta nei ristretti confini del paesello natìo, un piccolo angolo nel cuore della vecchia Sicilia. I cui effetti, però, si ripercuotono, visto il peso del personaggio, sui palazzi del potere e sui salotti buoni dell’economia e della finanza. Quegli stessi che all’indomani della pubblicazione dei primi articoli sull’indagine, misero la mano sul fuoco nel difenderlo. La Confindustria, da Giorgio Squinzi a scendere, fece quadrato, con tanto di interviste e documenti (solidarietà ribadita ancora oggi dalla Confindustria siciliana). Prudenti, anzi prudentissimi, anche i politici, incluso Rosario Crocetta. Un muro di solidarietà rotto alla fine dello scorso anno solo dal vecchio compagno di strada Marco Venturi che accusò Montante sulla stampa di essere in buona sostanza il regista di un’impostura antimafiosa e che fece visita ai pm nisseni per rappresentare alcuni fatti che riguardavano l’ex amico e partner confindustriale. Un repentino cambio di spartito – Venturi era stato tra i firmatari di un documento a sostegno di Montante – che spiazzò alquanto il mondo confindustriale.

In questo anno l’imprenditore nisseno è rimasto al suo posto, seppur di certo azzoppato dall’indagine. Un anno di quasi silenzio con una sola apparizione pubblica in Sicilia, in attesa. Di un’inchiesta in merito alla quale fin qui sulla stampa era trapelato poco. Non molto di più di quanto emerge dall’avviso di garanzia (come i rapporti d’affari con la famiglia Patti). Dove di “nuovo” c’è il riferimento al presunto tentativo da parte di Montante di creare “risorse economiche occulte” che si ipotizza potrebbero avere avuto una destinazione criminale, e la rivelazione dell’imprenditore Massimo Romano circa la “singolare richiesta” di scambiare in pezzi di piccolo taglio una grossa somma di denaro. Dal canto loro, i legali di Montante hanno ribadito “l’assoluta estraneità” del loro assistito: “Daremo ogni contributo all’indagine”, hanno scritto gli avvocati Caleca e Montalbano, secondo i quali Montante ha contribuito a colpire duramente sia sotto il profilo della libertà personale che dell’illecito arricchimento” i personaggi mafiosi in favore dei quali si ipotizza il concorso. “Personaggi, dai quali è possibile aspettarsi ogni forma di reazione calunniosa”, aggiungono gli avvocati. Parole in cui si sente l’eco della relazione della Procura nazionale Antimafia che nel febbraio dell’anno scorso scriveva di “una crescente reazione delle organizzazioni mafiose e dei suoi poteri collegati contro l’azione di contrasto alla criminalità organizzata nonché contro l’opera di legalità posta in essere in questi anni dall’Associazione confindustriale di Caltanissetta e, in generale, da quella regionale”.

L’inchiesta va avanti. Oggi i poliziotti della squadra mobile e del Servizio centrale operativo sono entrati in azione in diverse città italiane per perquisire abitazioni e uffici di Montante, che è tra l’altro presidente di Unioncamere e della Camera di commercio nissena. Un’attività che cerca riscontri alle ipotesi degli inquirenti, che se confermate svelerebbero una clamorosa impostura – l’antimafia doc col timbro del Palazzo, che invece sottobanco va a braccetto con la mafia – che travalica ogni immaginabile paradosso. Gli stessi legali di Montante usano un aggettivo ben preciso, “incredibile”, nella chiosa della loro nota: “La professionalità comprovata dei magistrati che conducono le indagini è garanzia anche di celerità affinché al più presto ogni incredibile ombra sull’operato di Montante venga cancellata”. Nel frattempo, l’ombra dell’inchiesta resta. E consuma l’immagine di un decennio di narrazione antimafiosa.

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