"Voti in cambio di posti di lavoro" | Spunta un commercialista - Live Sicilia

“Voti in cambio di posti di lavoro” | Spunta un commercialista

Roberto Clemente, Franco Mineo e Nino Dina

I pm hanno spedito l'avviso di conclusione delle indagini a 31 persone, compresi i quattro politici coinvolti: Nino Dina, Roberto Clemente, Franco Mineo e Giuseppe Bevilacqua. Nel fastidioso capitolo dell'inchiesta che riguarda il cibo sottratto ai poveri fa capolino il nome di un professionista. La precisazione di Clemente 

PALERMO – La Procura è già pronta a chiedere il rinvio a giudizio. I pubblici ministeri hanno spedito l’avviso di conclusione delle indagini a trentuno persone, compresi i quattro politici coinvolti nella presunta compravendita di voti: Nino Dina, Roberto Clemente, Franco Mineo e Giuseppe Bevilacqua.

Si scopre ora che indagati sono tre in più di quanti erano citati nell’ordinanza di custodia cautelare di fine maggio. Spunta, tra gli altri, il nome di un commercialista di Partinico, Domenico Noto, nel fastidioso capitolo dell’inchiesta che riguarda il cibo sottratto ai poveri. Noto è accusato di ricettazione assieme alla moglie Teresa Bevilacqua, sorella di Giuseppe, l’aspirante consigliere comunale che avrebbe messo a disposizione del migliore offerente – compresi i tre deputati regionali – il suo pacchetto di mille e 500 preferenze. Abbiamo cercato senza successo di contattare il commercialista per una replica.

I finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria, nell’ottobre 2013, perquisirono la loro abitazione di Partinico e vi trovarono uno scaffale che ricordava quello di un supermercato. C’erano 10 barattoli di fagioli borlotti, 3 barattoli di lenticchie, 2 confezioni di pasta “ditalini rigati”, 8 confezioni di spaghetti, 3 di penne rigate, 3 di fette biscottate, 3 di frollini, 77 confezioni di marmellata di albicocche, 10 confezioni di provolone e una di Asiago. Secondo l’accusa, marito e moglie, avrebbe ricettato il provento del reato di peculato commesso da altri.

E cioè da Giuseppe Bevilacqua che, in concorso con la compagna Anna Ragusa, avrebbe fatto soldi vendendo il cibo destinato agli indigenti dal “Banco delle Opere di Carità”, incaricato dall’Agenzia Governativa per le Erogazioni in Agricoltura (Egea) di distribuire le derrate alimentari acquistate con i finanziamenti dell’Unione Europea. Ed invece, servendosi dell’associazione Giu. Gio e con la complicità di Marcello Macchiano, dipendente dello stesso Banco, Bevilacqua avrebbe organizzato in un capannone, a Bagheria, il mercato nero dei prodotti per i poveri. I commercianti facevano la fila per accaparrarsi la merce. I sacchetti con le derrate alimentari che rimanevano venivano vendute agli stessi indigenti a cui dovevano essere forniti gratis. Due euro a sacchetto. Oppure 15 euro per una fornitura annuale. Le intercettazioni sono disarmanti. Bevilacqua parlava di “persone che litigavano con le persone” per accaparrarsi un sacchetto della spesa. Nella guerra fra poveri lui stesso assurgeva a giudice supremo: “…Gliel’ho detto… gli ho detto: io questa volta gliela do… il prossimo mese lei verrà scartato direttamente”. Una parte di quella merce sarebbe finita a casa di Noto e di Teresa Bevilacqua.

Sul fronte delle indagini sulla presunta corruzione elettorale (soldi, posti di lavoro e incarichi in cambio della promessa del sostegno elettorale) il procuratore aggiunto Teresi e i sostituti Luise, Picozzi, Del Bene e Scaletta tirano dritto per la loro strada e in tempi rapidi. Ai politici, infatti, viene contestato il reato finito al centro di un “caso” giudiziario. Dina, Clemente e Mineo sono stati scarcerati – erano finiti ai domiciliari – due giorni essere stati raggiunti dalla misura cautelare per il venir meno delle esigenze cautelari. Nel provvedimento del gip, lo stesso che aveva detto sì alla misura cautelare, non c’era traccia dell’errore ventilato dai difensori degli indagati, gli avvocati Marco Clementi, Marcello Montalbano e Ninni Reina. Secondo i legali, la Procura avrebbe formulato una contestazione errata. Per le elezioni regionali si applicherebbe la norma che vale per le comunali e non quella per le nazionali con la conseguenza che la pena prevista è più bassa – sotto i tre anni – e dunque non è possibile disporre una misura cautelare.

Di tutto ciò, però, non c’era traccia nella revoca degli arresti domiciliari. “Per noi non è cambiato nulla – aveva dichiarato Teresi – porteremo a giudizio gli indagati per le accuse contestate. Secondo noi sono quelle”. Detto, fatto. Tutti gli indagati sono a piede libero, tranne Bevilacqua. L’ultimo scarcerato in ordine di tempo è stato il finanziere Leonardo Gambino accusato di avere controllato che non vi fossero indagini in corso su Bevilacqua. Difeso dall’avvocato Giuseppe Di Peri, il Riesame ha revocato gli arresti domiciliari. Lo stesso Bevilacqua, difeso dall’avvocato Luca Bonanno, è tornato in libertà ed ha l’obbligo di dimora in città. Nel frattempo è stato pure respinto il ricorso della Procura che avrebbe voluto arrestarlo e non mandarlo ai domiciliari come deciso dal gip in prima battuta.

* Aggiornamento ore 18.30
Riceviamo e pubblichiamo una precisazione di Roberto Clemente: “Il capo di imputazione che mi riguarda è quello relativo al delitto di corruzione elettorale semplice per aver, in qualità di candidato alle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale siciliana, promesso al Bevilacqua utilità consistenti nelle proprie dimissioni dalla carica di consigliere comunale che avrebbero comportato il subentro del Bevilacqua in qualità di primo dei non eletti nella medesima carica. Nessun collegamento, quindi, tra la mia persona e l’eventuale e presunta compravendita di voti in cambio di posti di lavoro nè l’eventuale e presunto uso improprio di derrate alimentari destinate a soggetti bisognosi. Tutto questo per sottolineare che l’ipotesi di reato che mi riguarda e rispetto alla quale sono estraneo – come la magistratura avrà tempo e modo di accertare in questa vicenda incresciosa per la quale sono veramente dispiaciuto – nulla ha a che vedere con l’eventuale compravendita di posti di lavoro nè con l’uso commerciale di provviste alimentari destinate agli indigenti: comportamenti che ritengo infamanti e che non appartengono alla mia dignità di uomo e di politico, come ben sa chi mi conosce”.


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