PALERMO – “Ciao, non ti ricordi di me? Sono Matteo Messina Denaro”. Così il latitante trapanese avrebbe approcciato per strada Andrea Bonafede, suo amico d’infanzia. È quest’ultimo a ricostruirlo agli investigatori. Stamani si è svolta l’udienza al Tribunale del riesame. Il legale di Bonafede, l’avvocato Aurelio Passante, ha chiesto la scarcerazione dell’uomo che ha prestato la sua identità al padrino corleonese. Il Riesame, però, ha respinto l’istanza di scarcerazione. Bonafede, quindi, resta in carcere. Dal legale nessuna dichiarazione sul procedimento in corso.
Bonafede ha invocato uno “stato di necessità”
Nel corso dell’udienza la difesa di Bonafede ha invocato una sorta di “stato di necessità”. Il geometra di Campobello di Mazara avrebbe temuto conseguenze per la sua incolumità qualora si fosse rifiutato di aiutare un personaggio come Messina Denaro che a lui si è rivolto nel momento in cui gli serviva una nuova identità per operarsi prima all’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo e poi alla clinica La Maddalena di Palermo.
Tutte le accuse
In realtà Bonafede ha fatto molto di più per il latitante visto che ha comprato, con i soldi del boss, la casa covo di via CB 31 e la Giulietta, intestata alla madre di Bonafede, con cui Messina Denaro se ne andava in giro. Bonafede sarebbe smentito dal fatto che ha raccontato di avere incontrato per strada Messina Denaro casualmente. Ed invece già mesi prima di quell’incontro l’ex latitante ha usato il suo documento per accedere all’ospedale di Mazara del Vallo. La Procura lo ha fatto arrestare perché lo considera un “mafioso riservato” a disposizione di Messina Denaro.
La difesa di Bonafede
Per difendersi Bonafede ha spiegato che il latitante incontrava tantissima gente. Si spostava in paese alla luce del sole, senza mostrare la necessità di nascondersi. Aveva deciso di abbassare la soglia di cautela che gli ha consentito di restare in fuga per tre decenni. Ricostruzione che, a suo dire, cozzerebbe con la necessità di affidarsi ad un uomo riservato.
L’opposizione del pm
Il pubblico ministero Pierangelo Padova ha bollato come illogiche le argomentazioni dell’indagato. Da una parte Messina Denaro avrebbe continuato a fare paura, dall’altro non era più il guardingo ‘padrino’ di un tempo.