Il boia della forca accanto | Dove nasce l'odio per Dell'Utri - Live Sicilia

Il boia della forca accanto | Dove nasce l’odio per Dell’Utri

Una pena giusta deve essere anche umana, ma la rabbia acceca la coscienza. La gioia dei carnefici.

Caro boia della forca accanto,

Forse è arrivato il momento di ammetterlo con semplicità: tu, Marcello Dell’Utri, vorresti vederlo soffrire ancora di più. Per una questione personale. 

E hai annuito soddisfatto – interpretando la cosa a modo tuo – nell’apprendere come il Tribunale di Sorveglianza abbia negato la scarcerazione a un uomo così malato. E scorri con fastidio gli appelli per la dignità – c’è perfino la Chiesa col vescovo Mogavero – di chi ha compreso che la liberazione non rappresenterebbe né una revoca della condanna, né un colpo di spugna, ma la semplice accensione di una luce pietosa davanti a una quantità di gravissime patologie.

Tu stai con i giudici che hanno ‘tenuto duro’, non stai mai con la pietà. Tu stai con la legge, forse, non con la giustizia. Esistono, certo, le posizioni rispettabili di chi ritiene che un prigioniero che ha in elenco la cardiopatia, il diabete, l’ipertensione, con l’aggiunta di un adenocarcinoma prostatico, possa essere curato a dovere in una cella. In quel caso basta appena informare, allegando le relazioni di svariati medici, tra cui il dottore del carcere e i consulenti della procura generale, per vedere chiunque impallidire e prorompere in un indignato: e allora liberatelo!

Tu no, boia del patibolo accanto. Tu non sei interessato all’espiazione di una pena che sempre dovrebbe avere i requisiti dell’umanità. Se dipendesse da te, Marcello Dell’Utri sarebbe appeso alla corda e torturato, come l’avvocato Di Blasi nel ‘Consiglio d’Egitto’. E tu saresti lì, idealmente, ad applaudire. Tu possiedi tonnellate d’odio, ma non la risolutezza di trasformarlo in male; sicché il dolore da infliggere lo deleghi, poi resti in disparte a goderti lo spettacolo. Tu odi, questo è il fatto che non riconoscerai mai. Vuoi la vendetta che esorcizzi il tuo fallimento. La famosa questione personale.

Tu detesti Marcello Dell’Utri e non c’entra nemmeno la politica, non c’entrano il berlusconismo, né la sinistra più cieca ed estrema che ama regolare i suoi conti per via giudiziaria. Tu odi Dell’Utri – come odieresti chicchessia – perché aveva tutto, mentre tu non hai e non avevi nulla. La giustizia, la legge, i processi e le condanne, l’orribile mafia, i reati, i codici: sono il mezzo, per te, non la sostanza del discorso.

E hai colto, in quella esistenza che crollava, il movente di una rivincita. Ecco il potente ristretto, il personaggio di successo, il deus ex machina, Eccolo nel recinto dei vinti, dalla tua stessa parte. Ecco, dunque, l’opportunità di calpestarlo un po’. Lui – che è stato felice – conosce finalmente l’infelicità. 

Il solo sospetto che, sul limite dell’esperienza di un uomo malato, possa fiorire un umanissimo germoglio che gli consenta un trattamento da persona ti provoca, di conseguenza, uno scoppio d’ira. E allora tiri fuori i tuoi argomenti. La colpa da scontare, ma qui si parla di ‘pena giusta’, non di tortura. La circostanza che una tale levata di scudi sia dovuta alla celebrità, solo in parte esatta, infatti, gli spiriti liberi una simile battaglia la condurrebbero per Dell’Utri come per i militi ignoti della galera. E il tuo rancore che tutto ammorba.

Caro boia della forca accanto, appena qualche anno fa, saresti rimasto relegato nel ghetto, nell’estremismo a cui non si concede cittadinanza. Oggi, invece, hai le fattezze dell’uomo medio chinato a soffiare sulla brace dei suoi livori. Questo è il punto: tu porti la bandiera dell’attuale senso comune che si nutre di rabbia e vomita offese. E devi essere combattuto, ideologicamente debellato, con una risoluta gentilezza. Con le parole, con i libri, con la civiltà, con il diritto. Con le buone parole e con i buoni libri.

Con le parole che Leonardo Sciascia mette in bocca a Francesco Paolo Di Blasi, ritto, nell’ora della sua esecuzione, nella pagina finale de ‘Il Consiglio d’Egitto’. A Calogero Gagliano, il carnefice che si avvicina per compiere il suo macabro ufficio, l’avvocato dona un’occhiata e un suggerimento. Lo guarda e – fraternamente – sussurra: “Pensa alla tua libertà”.


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