PALERMO – Un buco nell’acqua. È proprio il caso di dirlo. La Corte costituzionale ha “demolito” la riforma del sistema idrico approvata dall’Ars meno di due anni fa. Una sentenza durissima, che ha censurato i passaggi più importanti della legge, bocciando oltre una dozzina di norme, giudicate incostituzionali.
In particolare, la Consulta ha sanzionato una “invasione di campo” della Sicilia su materie la cui decisione spetta allo Stato. In particolare, la fissazione delle tariffe dell’acqua e la durata e le modalità delle concessioni agli affidatari. Ad esempio, bocciato il passaggio che prevede un limite di nove anni per le concessioni ai privati, a fronte di una durata illimitata per gli organismi “in house”. Norma che finirebbe per violare il principio costituzionale di tutela della concorrenza “che non ammette discriminazioni in base alla natura – pubblica, mista o privata – del soggetto affidatario”. Una norma, insomma, troppo svantaggiosa per gli affidatari, secondo i rilievi che erano già stati sollevati anche dal ministero dell’Ambiente e inviati alla Regione, e che puntavano il dito anche contro la norma che “sembra porre a carico del soggetto affidatario ogni variazione economica che possa intervenire nel periodo di affidamento per qualsiasi causa, anche non imputabile al gestore”. Anche questa cassata.
Sull’applicazione delle tariffe, la norma regionale attribuiva questo compito alla giunta. Violando così le norme statali secondo cui spetta all’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico il compito di definire, nell’ambito della convenzione tipo, “le penali, le sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile” e “i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dall’ente di governo dell’ambito e del loro aggiornamento annuale, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze”. La norma statale, ricorda la Consulta “è diretta a preservare l’equilibrio economico-finanziario della gestione e ad assicurare all’utenza efficienza e affidabilità del servizio. Trattandosi di profili che attengono alla tutela della concorrenza, si deve concludere che i poteri legislativi esercitati con la norma censurata invadono la competenza legislativa esclusiva statale”.
Bocciata pure la norma che prevede che gli acquedotti, le reti fognarie, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture e dotazioni patrimoniali del Sistema idrico possano rimanere di proprietà degli enti locali. Cassata anche quella che consentiva la gestione diretta del servizio da parte dei Comuni, anche in forma associata, e tramite la costituzione di “sub-ambiti” all’interno dell’Ato idrico. Cassato l’articolo che prevede la creazione di un Fondo di solidarietà alimentato, per il primo anno, attraverso le risorse derivanti dal Sistema idrico integrato. Si tratterebbe, secondo la Consulta, di un costo ulteriore che finirebbe per ricadere comunque sulla tariffa complessiva.
Si tratta solo dell’ultima tra le impugnative del Consiglio dei ministri su leggi approntate dal governo e approvate dall’Assemblea regionale. In passato era stato il turno della riforma degli appalti, di quelli sui rifiuti, passando per diverse norme contenute nelle Finanziarie regionali.
“Dopo la vicenda dei sindaci defenestrati per mancata approvazione del bilancio – ha commentato Gaetano Armao, docente universitario ed ex assessore regionale – è un susseguirsi di norme incostituzionali. L’eliminazione del controllo preventivo da parte del Commissario dello Stato sancito dalla Corte costituzionale avrebbe dovuto determinare un supplemento di responsabilità da parte del Parlamento regionale. Siamo invece in preda – prosegue – ad un delirio dove politici senza scrupoli o pivelli senza conoscenze legiferano su tutto danneggiando i siciliani. Occorre istituire subito un organismo indipendente che impedisca questo scempio dell’autonomia, indicando sin da subito – conclude – le norme che non possono essere votate per palese incostituzionalità”.
Panepinto: “Calpestata l’Autonomia”
“La sentenza della Corte Costituzionale che ha sostanzialmente cassato gli articoli che riguardano la gestione del servizio idrico in Sicilia e il modello tariffario – compresa la parte relativa al costo dell’acqua fornita da Siciliacque – di fatto azzera il referendum al quale hanno votato 27 milioni di italiani e calpesta l’Autonomia siciliana e le prerogative statutarie”. Lo dichiara il vicecapogruppo all’Ars del Pd, Giovanni Panepinto. “È evidente – aggiunge – che la grande lobby dell’acqua non pensi che sia una partita chiusa. Chi oggi festeggia questa sentenza dovrebbe ricordare che nel 2004 fu stipulata una convezione di 40 anni con una società per la gestione di risorse idriche, strutture e dighe pagate dai contribuenti siciliani. Credo che questa vicenda metta in discussione anche i rapporti fra il Partito Democratico, il governo regionale che non si è costituito di fronte ai giudici della Corte e che non ha applicato la legge in questi due anni, e il governo nazionale – conclude – che ha impugnato la legge”.