Discutiamo di tortura

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04 Novembre 2009, 18:07

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di LINO BUSCEMI Dopo le tragiche vicende di Stefano Cucchi e di Diana Blefari, cui fa seguito l’audio shock del comandante delle guardie del penitenziario di Teramo, è arrivato il momento di affrontare seriamente, con lo scopo di interrompere una lunga serie di orrori carcerari, il grande tema dell’introduzione, nel nostro ordinamento giuridico, del reato di tortura.
Quello della tortura è un argomento assai delicato, controverso, sul quale da tempo si è aperta una riflessione dottrinaria e culturale in conseguenza dell’acutizzarsi del fenomeno nella maggior parte degli stati del pianeta, Italia compresa. Tuttavia, da oltre 20 anni, malgrado gli sforzi compiuti, non si riesce a produrre (parlo del nostro Paese)  un atto legislativo a testimonianza dell’affermarsi di sensibilità nuove nel campo dei diritti e della intoccabilità della persona nel corpo e nella mente.
Il clima da “caccia alle streghe” che oggi si respira nel Paese  in nome della questione sicurezza, non favorisce comportamenti virtuosi e pragmatici quanto meno a livello decisionale. Anzi, non è una minoranza quella che propugna, nel governo, “irrigidimenti” normativi lesivi dei diritti di libertà, delle garanzie costituzionali e degli accordi sottoscritti dall’Italia in sede europea ed internazionale.
Non saranno, comunque, i demagogici richiami all’uso del “pugno di ferro”, da parte di un manipolo di  nostalgici, a fermane il corso degli eventi volti ad introdurre elementi di civiltà giuridica nell’organizzazione statuale. Eventi, a pensarci bene,  che non sembrano subire troppo la “pressione autoritaria” se in Parlamento, senza distinzione di schieramenti politici, c’è chi si è impegnato a presentare, nelle diverse legislature, organiche proposte per trasformare la tortura in reato, con tanto di sanzioni, a difesa della dignità della persona e dei diritti umani in generale.
Proposte che sono coerenti con la necessità di onorare impegni internazionali giacchè l’Italia, fin dal novembre 1988, ha ratificato la Convenzione dell’ONU contro la tortura (del 1984) e sottoscritta l’apposita Convenzione europea. Dichiarazioni solenni nelle quali si definisce il concetto (articolo 1) di tortura, senza mezzi termini e con lo scopo di sottolinearne l’incompatibilità con i valori civili, culturali e politici assai diffusi nelle grandi democrazie occidentali.
Cos’è la tortura nel mondo? A quale logica ubbidisce? Perché non è rinviabile un rigoroso contrasto?
Il termine “tortura” designa “qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni. Di punirla…, di intimidirla… o infliggendo sofferenze per mano di un funzionario pubblico o di qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale….. Nella storia del diritto la tortura è definita come un complesso dei mezzi di coercizione personale, tanto fisica che morale, impiegati nel processo (e, al di fuori di esso, nell’attività di polizia che lo precede e accompagna) per accertare la responsabilità degl’imputati, al fine di provocarne la confessione…… In senso diverso, ma non meno rilevante nella storia del diritto criminale, si connette alla nozione di tortura anche il complesso delle sevizie esercitate sui condannati durante la espiazione della pena, come mezzo continuativo di aggravamento del trattamento detentivo (ceppi, catene, custodia in ambienti insalubri tali da pregiudicare la sopravvivenza a qualsiasi essere umano) e come modalità di applicazione della pena capitale, nei casi più gravi eseguita con complicati e crudelissimi tormenti”. Definizioni, quelle riportate, frutto di una triste realtà che è comunque al di sopra di ogni immaginazione.
Naturalmente il tema dell’entità della pena da infliggere non può essere un tabù ed è, dunque, necessario che sul punto i legislatori  trovino un accordo ampio affinché la punizione sia severa e proporzionata alla gravità degli atti posti in essere. Soprattutto è necessario un considerevole aumento di pena se la condotta delittuosa è opera di pubblici ufficiali. Fatti recenti, non meno drammatici di quelli verificatisi in questi giorni, hanno messo a nudo taluni comportamenti di soggetti che, abusando della loro qualifica, “ne hanno fatto di tutti i colori” con ferocia e spavalderia quasi dessero per scontata l’impunità. Quando si afferma che “il reato di tortura non c’è” si dice il vero e si sottolinea un fatto.
È arrivato, pertanto, il momento di non “mollare la presa” per colmare una incomprensibile lacuna, non solo giuridica, che costituisce una grave menomazione del nostro ordinamento democratico. Non si può andare alla “guerra” con armi spuntate. La tortura è ampiamente praticata e ne sanno qualcosa quelli che l’hanno subita e la continuano a subire. Occorre una incisiva norma giuridica non solo per consentire agli operatori del diritto di agire efficacemente, ma anche per evidenziare l’esistenza di una organica tutela in favore di tutti gli esseri umani, titolari di diritti e di doveri, soggetti alla giurisdizione italiana.
Il reato di tortura e le conseguenti sanzioni se da un lato colmerebbero un vuoto ordinamentale, dall’altro costituirebbero validi elementi di dissuasione nei confronti di non pochi soggetti, che, nell’esercizio di un potere, non hanno alcuna remora di ledere la dignità dell’uomo per riaffermare una sorta di delirio di potenza molto spesso conseguenza di un deserto morale e culturale.
Ad onor del vero un primo tentativo di introdurre, sia pure attraverso un emendamento, il crimine di tortura nel nostro Codice penale c’è stato. Al Senato della Repubblica (seduta del 4 febbraio 2009), ad iniziativa dei senatori Poretti, Fleres, Bonino, Bianco, Carofiglio, Casson, Finocchiaro, Marino, Rutelli, Rita Levi Montalcini ed altri) si è cercato, appunto attraverso un emendamento al DDL 773, di passare dalle parole ai fatti. Sembrava esserci un clima politico e parlamentare favorevole. Invece, per una manciata di voti (123 voti a favore e 129 contrari, astenuti 15, votanti 267) la proposta non è passata a causa dei tanti “casi di coscienza” registratisi sia nelle fila del centro-destra che in quelle del centro-sinistra. Ovviamente c’è bisogno di uno scossone, dell’impegno meno reticente del governo e dei maggiori leaders di tutti gli schieramenti politici e parlamentari, sia per superare le residue resistenze che per rimettere all’ordine del giorno dei lavori del Parlamento un punto di grande rilievo giuridico, politico, morale e civile. Malgrado tutto sussistono tutti i presupposti affinchè in questa legislatura il reato di tortura possa diventare tale (con legge organica), se si mettono da parte ideologismi ed interpretazioni settarie e si compia, alla luce del sole, un serrato dibattito dove prevalga la coesione, il serio confronto e la consapevolezza di rendere un servizio alla causa della giustizia e della sua modernizzazione nel solco di una grande tradizione filosofica e giuridica.
I diritti umani – è bene ricordarlo – non sono nè di destra, nè di centro, nè di sinistra. Sono patrimonio di tutti gli uomini liberi. Oggi più che mai è possibile coniugare l’innegabile esigenza di sicurezza con la necessità di tutelare i diritti di chi è privato della libertà personale. Ad una condizione: occorre individuare un approccio diverso in cui sia  possibile riscontrare meno giustizialismo e più tolleranza (senza buonismo); più legalità e meno rissosità; comprensione e meno iniziative demagogiche. Partendo dalla Costituzione per agire in maniera corretta con lo scopo di garantire una espansione dei diritti e degli imprescindibili doveri nel quadro del rispetto della persona e  delle libertà civili, così come si sono affermati nelle società democratiche e liberali.
In conclusione: sapranno i nostri governanti, i deputati ed i senatori, una volta tanto, distogliere la loro attenzione dalla sterile polemica quotidiana per impegnarsi davvero e a fondo sul versante della positiva tutela dei diritti dell’uomo?

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04 Novembre 2009, 18:07

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