08 Ottobre 2023, 15:57
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CATANIA – “In Italia dicono che ci hanno contattati e che stiamo tutti bene, ma come fanno a dirlo? Personalmente, io e la mia collega abbiamo semplicemente ricevuto una risposta con un sms automatico che ci diceva di seguire le istruzioni dal sito della Farnesina. Ora vogliamo solo tornare in Italia, ma abbiamo paura a muoverci dai nostri shelter (rifugi antimissile, ndr.). Chiediamo di venirci a prendere”.
Cresciuta a Leonforte, in provincia di Enna, la studentessa ventisettenne Federica Florio è di origini catanesi e vive a Catania da quasi dieci anni. Studia per il Dottorato di Scienze Chimiche dell’università di Catania. Da febbraio vive in Israele, dove è tirocinante al Weizmann Institute of Science di Rehovot, uno degli istituti di ricerca più importanti del mondo. Al momento dell’offensiva palestinese si trovava a Tel Aviv. Quando hanno suonato le sirene, sabato mattina, si trovava lì con un’amica e collega di Bronte. La situazione era tranquilla e avevano deciso di trascorrere un fine settimana in quella che normalmente è una splendida città multietnica dove vivono migliaia di giovani.
“Quando hanno suonato le sirene eravamo in Hotel. L’attacco è stato studiato nei dettagli perché qui era lo Shabbat: evidentemente erano al corrente che stavamo dormendo tutti. All’inizio quasi non credevamo fosse possibile, perché sappiamo che il sistema antimissilistico israeliano è uno dei migliori al mondo – prosegue -. Erano le 7.30. Siamo immediatamente uscite dall’Hotel e abbiamo cercato un taxi per tornare a Rehovot. Non si fermava nessuno e abbiamo pregato il personale di un altro Hotel di chiamarci un taxi. Così siamo tornati nel nostro dormitorio. In tutto questo, il primo messaggio dalla Farnesina è arrivato dopo le 10”.
“I nostri colleghi nel dormitorio a Rehovot erano già stati svegliati dalle sirene e si trovavano nel rifugio dalle 6.30. Loro sono rimasti nel bunker per tre ore consecutive – prosegue -. A un certo punto mentre eravamo sul taxi ha suonato nuovamente la sirena e ci siamo coperte alla meno peggio, per come fosse possibile. Sono stati attimi di terrore. Arrivati a Rehovot abbiamo comprato il possibile, ma al supermercato era rimasta una sola cassetta d’acqua”.
Le ragazze avevano già vissuto qualcosa di simile a maggio. “A maggio era arrivato un missile a 500 metri dal dormitorio. Ma anche chi è del posto, anche gli adulti, adesso raccontano di non aver mai vissuto nulla del genere – sottolinea Federica -. Leggi la paura nei loro volti. Quando è scattato l’allarme, dalla Sicilia mia sorella ha cercato di mettersi in contatto con la Farnesina. Loro non avevano mandato alcun messaggio. Evidentemente sono rimasti spiazzati. Dicono che stanno tutti bene, ma la verità è che non possono saperlo. Sono arrivati solo dei messaggini di risposta”.
Federica mostra uno screenshot del suo telefono. Alle 10.12: “Lancio di razzi in varie località del Paese. Evitare spostamenti non necessari. Attenzione, restare informati e seguire le indicazioni delle autorità locali”. Alle 11.18 è stato dichiarato l’”Attacco Hamas” e sono stati forniti i numeri dell’Ambasciata italiana a Tel Aviv e dell’Unità di Crisi.
“Noi vogliamo solo tornare in Italia. Concluderei il tirocinio a fine mese, ma voglio tornare a casa – conclude -. In questo momento, se volessi partire, un biglietto aereo costerebbe oltre 3 mila dollari, ma non è neppure quello il problema. Chi mi assicura la sicurezza da qui all’aeroporto? Chi ci assicura che non saremo rapite uscendo da qui? Chiediamo al governo di intervenire. Chiediamo di riportarci a casa. E posso aggiungere una cosa: chi non è del posto, la pensa come noi. Vogliamo tutti solo andare a casa. Anche perché, peraltro, pure in Istituto, non è possibile andare. O meglio: le attività non sono ferme ma ci sconsigliano di andare”.
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08 Ottobre 2023, 15:57