PALERMO – Paulo Dybala si mette a nudo, e lo fa per l’edizione di marzo del Guerin Sportivo. L’attaccante del Palermo, uno dei giocatori che più si sono messi in evidenza nella prima parte del campionato, è partito da lontano, dalle sue origini e da un trauma che lo ha scosso fin dai primissimi anni di vita: “In pratica col pallone ci sono nato – esordisce Paulo – . Ricordo di un pallone che mi regalò mio padre da piccolissimo. Ci vivevo insieme. A lui, ancora prima del fatto di essere diventato un calciatore, devo soprattutto il fatto di essere diventato uomo. Fu un passaggio obbligato, arrivato con la sua morte. Avevo solo 15 anni, per me e per la mia famiglia fu uno choc terribile. Lui aveva lottato a lungo contro un tumore al pancreas, una guerra inutile. Mi raccontavano che ce l’avrebbe fatta, una bugia per cercare di proteggermi. Ancora oggi mi capita di sognarlo e di risvegliarmi in lacrime. Il suo sogno era quello di avere un figlio calciatore. Non ce l’ha fatta mio fratello Gustavo, il maggiore, e nemmeno Mariano. Io dovevo farcela”.
Forse l’elemento che lo lega ancor di più all’Argentina, tanto da rifiutare l’invito di Antonio Conte ad unirsi alla spedizione azzurra, oggi e nel futuro prossimo: “Sono cresciuto in Argentina e mi sento argentino al cento per cento – ribadisce Dybala – . Sono arrivato in Europa col Palermo, ma fin da piccolo sognavo di giocare qua. Ho sempre desiderato di confrontarmi col calcio europeo. Quest’estate eravamo in ritiro in montagna con la squadra. Ho seguito tutto il Mondiale con Vazquez e Muñoz. Avevamo una bandiera argentina per coprirci. Speravamo di vincere il Mondiale, farlo in Brasile sarebbe stato un sogno realizzato. Lo avremmo meritato. La sera della finale è stata molto triste: è bruttissimo perdere in quel modo”.
Un argentino a Palermo, una favola già vissuta da queste parti. E Dybala parla delle abitudini, sue e dei palermitani, partendo dal mare e dalla spiaggia di Mondello: “I palermitani dicono che se sei triste o addirittura depresso, a Mondello ti passa ogni cosa. Direi che è vero. A metà novembre c’è ancora gente che viene a fare il bagno. La cosa che mi piace di più dei palermitani è lo spirito di accoglienza. Sono tutti gentilissimi con me e ci tengono ad offrirmi il caffè. Qui è un gesto di grande ospitalità. Nei primi tempi però era più difficile trovare qualcuno che mi portasse al bar. I miei inizi? Ero molto piccolo, venivo dall’altra parte del mondo. Dovevo ambientarmi e capire che calcio fosse. Tutto qua. Penso che faccia parte di un normale processo di crescita. Non mi sono mai pentito della scelta, nemmeno quando siamo finiti in Serie B. Anzi, per me è stata un’esperienza importante, quella stagione mi ha formato, mi ha aiutato a crescere. Ho buttato le basi per quello che sto realizzando quest’anno. Se devo essere sincero, mi aspettavo le critiche. Per fortuna è un periodo che è durato poco, qui la gente mi è sempre stata molto vicina. Però mi dava fastidio il fatto di sentire che io fossi quello pagato tanto e che non segnava. Non vedevo l’ora di sbloccarmi, di dimostrare il mio valore, di fare capire ai critici che stavano sbagliando. Il mio riscatto è iniziato lo scorso anno contro il Bari”.
E a Palermo, Paulo Dybala ha incontrato Franco Vazquez. Uniti come non mai, grazie anche allo strepitoso campionato che stanno conducendo, i due argentini sono ormai inseparabili: “Franco è un amico. Abbiamo caratteri simili, anche lui ama la famiglia e le cose semplici. Stiamo spesso insieme, anche a giocare alla playstation. “Mudo” mi ha molto aiutato: nella lingua, nell’approccio con la squadra e con la città, nelle difficoltà che si incontrano quotidianamente. E inoltre è un grande giocatore, basti guardare gli assist che mi fornisce: è un giocatore geniale. Alla classifica cannonieri non ci penso molto. Sarebbe bellissimo, magari aiuterebbe il Palermo a centrare qualcosa di importate. Se sto facendo buone cose, lo devo a tutta la squadra. Ho sempre pensato che il mio modello di ispirazione fosse Messi,ma arrivare ai suoi livelli è impossibile. Da quando sono arrivato in Italia, molti mi hanno detto che nel modo di giocare assomiglio a Montella, altri a Rooney: sono tutti giocatori europei. Montella non l’ho mai visto giocare, ma so che è stato un grandissimo. Qualcun altro dice che ricordo Agüero. Io penso però di essere il classico attaccante argentino, ma al di là di questo voglio solo essere me stesso. In campo penso a segnare: io sono uno che non si accontenta mai”.
Palermo vuol dire tanto per Dybala, così come i tifosi. E a proposito dei cori che sente ogni domenica allo stadio, in onore suo o di tutta la squadra, Paulo la pensa così: “È bellissimo, ma io sono di parte, lo dico sorridendo. Quei cori hanno un suono, una musicalità unica. Danno una carica incredibile, anche se quando giochiamo siamo molto concentrati. Me ne sono accorto subito, insieme agli altri compagni argentini, anche se i cori che fa la curva del Palermo sono sullo stesso motivo di quelli del San Lorenzo. Nel rapporto con la tifoseria, la cosa che amo di più è segnare al Barbera e correre sotto il loro settore a festeggiare”.
Dybala spende belle parole anche per Beppe Iachini e Maurizio Zamparini. Premettendo che l’intervista è stata realizzata prima dello sfogo del patron rosanero, Paulo non se la sente di mettere in dubbio il proprio rapporto con l’allenatore e il presidente che al momento lo coccolano: “Iachini è un allenatore molto preparato e molto determinato, metodico. Sa cosa vuole e te lo fa capire senza tanti giri di parole. Altro aspetto molto importante: tratta tutti allo stesso modo, senza fare distinzioni. A Zamparini devo solamente dire grazie. Lui si vede poco, ma riesce comunque a essere molto vincono alla squadra. Solitamente si confronta con i compagni più esperti. Quanto a me, mi ha sempre sostenuto, anche nei momenti in cui qualcuno avea cominciato a dubitare delle mie capacità. Lui invece ha sempre creduto in me e mi ha anche dimostrato il suo affetto. I 40 milioni? Sinceramente credo che sia un’esagerazione. Ho ancora tanto da dimostrare, cerco di non pensare troppo a queste etichette concentrandomi unicamente sul mio rendimento in campo”.