“E’ l’empatia la formula magica dell’accoglienza”

di

24 Dicembre 2016, 22:53

4 min di lettura

CATANIA – Il 2016 si conferma l’anno record in tema di sbarchi. Basti pensare che dall’1 gennaio fino ad ottobre sono stati più di 153mila i migranti giunti sulle coste italiane. Numeri che non risparmiano certamente la Sicilia. Anzi, la battezzano ancora una volta scenario naturale di chi, con fatica e rischio, non ci pensa due volte ad abbandonare la propria terra in cerca di un futuro migliore. E dietro a questo mondo dalle vetrate non sempre nitide, rese opache spesso da polemiche e scandali, si nasconde, però, anche altro. Il lavoro delle figure professionali coinvolte nel fenomeno dell’accoglienza. Le uniche forse in grado, con l’esperienza sul campo, di fare da cicerone in un tour tra rifugiati e richiedenti asilo lontano da luoghi comuni e cose date per scontato.

“Lavorare in realtà del genere – spiega Santina Lazzara, assistente sociale del Cpa “San Francesco” di Caltagirone nell’ambito del progetto “I colori del mondo” – aiuta ad abbattere il muro del preconcetto della diversità superando il relativismo culturale, grande inganno dei paesi occidentali, desiderosi di imporre la propria cultura, economia, forma mentis. Attualmente mi occupo di minori non accompagnati attraverso un approccio multidisciplinare che coinvolge un’equipe di figure impegnate, in primis, alla valutazione del bisogno del soggetto in questione. Tra gli interventi iniziali messi in atto vi è lo screening medico preventivo a 360 gradi, considerato che i ragazzi provengono da realtà in cui il sistema sanitario pubblico è inesistente. Secondo obiettivo: creare occasioni affinché i minori riescano a trovare figure di riferimento professionali tenendo presente della loro condizione di disorientamento post viaggio. Occorre attivare una rete di supporto e un clima di fiducia. Ogni giorno, le testimonianze dirette ci confermano quanto la Libia rappresenti per la maggior parte di loro un passaggio quasi obbligato prima di racimolare i soldi e arrivare in Italia mediante viaggi illegali. Si tratta di una sorta di centro di smistamento in cui le donne vengono inserite nei cosiddetti ‘connection house’, capannoni dove vengono addestrate alla prostituzione e ai maschi, invece, spetta un periodo di prigionia, non ufficiale ovviamente, durante il quale sono costretti a vivere incatenati e a cibarsi di pane e acqua. La maggior parte finisce per subire torture, angherie, stupri, ecco perché ancor prima del viaggio in barcone c’è da fare i conti con tutto ciò subito prima”.

E cancellare pagine così dolorose è impossibile, lo sanno bene tutti coloro che giorno dopo giorno imparano a dare un significato ai loro silenzi e ai sorrisi appena accennati. “La prima grossa problematica da affrontare – sottolinea Arianna Scaglia, psicologa all’interno degli SPRAR Geranio I e II di Caltagirone – è la loro diffidenza. Se un ragazzo ha vissuto o meno violenza lo intuisci più dal non verbale che dal verbale, dal modo in cui si atteggia e agisce. Per lavorare con tali fasce di utenza devi avere una buona dose di empatia che non vuol dire esattamente fare propri i sentimenti altrui, in quanto diventerebbe controproducente dal punto di vista professionale, bensì essere dotati di una delicatezza tale da creare avvicinamento e stima”.

Articoli Correlati

Per attivare una rete comunicativa efficiente è fondamentale innanzitutto risolvere la problematica linguistica mediante corsi di alfabetizzazione della lingua italiana considerato che la maggior parte parla francese, inglese o arabo. Lezioni pratiche, basate su metodi induttivi in grado di condurre gli allievi stranieri alla conoscenza attraverso la scoperta, l’ascolto di canzoni di artisti nostrani che si trasformano in occasione per ampliare il proprio vocabolario, cruciverba linguistici da completare e materiale multimediale con cui interagire.

Ponte fondamentale tra gli immigrati e le istituzioni è senza dubbio il mediatore culturale, figura poliedrica che risponde alle esigenze di integrazione di chi giunge in una nuova realtà. “Vi è molta ignoranza sulla formazione culturale di tale figura professionale – confessa Licia Lo Monte, mediatrice culturale al Cpa “San Francesco” di Caltagirone – oltre alla padronanza della lingua italiana, un mediatore deve saper parlare almeno una seconda lingua tra il francese, l’inglese e l’arabo e avere conoscenze storiche, culturali, sociali e legislative. Nella fase di accoglienza di un adulto o di un minore è nostro compito ricordare loro diritti e doveri dato che spesso quest’ultimi vengono dati per scontato generando confusione e fraintendimenti. Il tema dell’integrazione mi ha affascinato da sempre e la mia esperienza mi ha portato alla conclusione che puoi avere pure 4 lauree ma senza empatia e umanità non potrai mai indossare appieno i panni di mediatore. Tra noi e l’utenza si viene a creare uno scambio reciproco che va oltre il lavoro in se e per se. Qualche giorno fa, impegnata nel far riflettere alcuni minori sul tema della diversità, oggetto di un dibattito al quale avrebbero poi partecipato, uno tra loro dopo alcuni secondi di silenzio commenta: Licia, ho capito bene la tua domanda, non occorre che tu me la rifaccia. Credo che se una persona è razzista sia cattiva non solo con me che ho la pelle nera ma pure con gli italiani. Come dargli torto?”.

Pubblicato il

24 Dicembre 2016, 22:53

Condividi sui social