Roberta Siragusa: "Mi ha messo la corda al collo, mi ammazzerà"

Roberta Siragusa: “Mi ha messo la corda al collo, mi ammazzerà”

Così diceva quattro giorni prima di morire. Depositata la sentenza

PALERMO – “È un bastardo, ho paura, non lo lascerò mai, mi ammazzerà”, diceva Roberta Siragusa, la ragazza di 17 anni uccisa a Caccamo, nel Palermitano, la notte tra il 23 e il 24 gennaio 2021. Prima di essere bruciata era stata colpita più volte al viso e tramortita.

Le motivazioni dell’ergastolo

Dalle motivazioni della sentenza che ha condannato all’ergastolo il fidanzato, Pietro Morreale, emerge la gelosia del ragazzo che prima del delitto aveva aggredito Roberta. C’è un messaggio drammatico che la povera ragazza ha inviato il 20 gennaio a un amico.

Il drammatico messaggio

“Alla fine mi ha portato al Chiani e voleva ammazzarmi – diceva Roberta – mentre camminava parlava sottovoce e gli dicevo ma che dici e non mi rispondeva… appena siamo arrivati è sceso dalla macchina, ha aperto il cofano e ha preso la corda e degli attrezzi e mi veniva contro. Mi sento male”.

Roberta era cosciente del rischio che correva: “Mi ammazzerà me lo sento… mi ammazza me lo sento mi ha messo la corda al collo stava per stringere mi sono fatta male anche alle dita per toglierla, se lo lascio non posso fare neanche più una passeggiata da sola mi ammazzerà se devo lasciarlo devo farlo davanti ai miei perché se lo faccio quando siamo soli mi ammazza davvero”.

Nell’auto, come accertato dagli esperti del Ris di Messina, sono state trovate tracce di sangue sia di Roberta che di Morreale. Le indagini sono state condotte dai carabinieri di Termini Imerese e coordinate dal pm Giacomo Barbara della procura termitana.

I familiari della vittima si sono costituiti parte civile con l’assistenza degli avvocati Giovanni Castronovo, Maria La Verde, Sergio Burgio e Giuseppe Canzone. Dopo le botte, Roberta Siragusa è stata distesa sul terreno nei pressi del campo sportivo di Caccamo. Si era in piena pandemia e Morreale, secondo quanto ricostruito nel corso del processo, sapeva bene che a quell’ora non ci sarebbe stato nessuno in quella zona isolata dove si era appartato con Roberta.

Il video del delitto

A riprendere la scena del delitto sono state le telecamere di un locale. Il corpo di Roberta era rannicchiato e non è possibile stabilire se la ragazza avesse fatto finta di essere morta per cercare di salvarsi. Ma Monreale, come stabilisce la sentenza, aveva chiaro già il progetto di ucciderla. Aveva con sé da qualche giorno in auto una bottiglia di benzina e a un amico aveva detto che sui social avrebbe letto la notizia di un giovane che si è dato fuoco. Per la difesa è stata Roberta a versarsi la benzina e darsi fuoco.

“Roberta è morta in pochi minuti a seguito delle ustioni – hanno accertato i periti -, la ragazza ha inalato attivamente fumo molto caldo che ha bruciato le vie aeree ha lasciato”.

Per l’accusa è stato Pietro a ucciderla: le avrebbe dato fuoco attorno alle 2.09 della notte e nel filmati si vede il corpo in fiamme che si alza, percorre 30 metri e dopo 27 secondi cade a terra per bruciare altri sei minuti. Per i giudici ad accendere l’innesco è stato Morreale, ma non si vede il momento perché il giovane è nascosto da un muretto. Una ricostruzione che combacia con quella fatta dal comandante della sezione chimica esplosivi infiammabili del Ris. Dopo essersi allontanato più volte, solo attorno alle 3.39 Pietro avrebbe abbandonato il corpo a Monte Rotondo, tornando a casa come se nulla fosse successo.


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