"Ho chiuso con questo mondo"| Da estorsore a vittima del pizzo - Live Sicilia

“Ho chiuso con questo mondo”| Da estorsore a vittima del pizzo

Condannato per favoreggiamento, per aver 'prestato' la sua identità a Leoluca Bagarella, e dopo aver fatto fatto l'esattore per i Vitale per sei anni, l'imprenditore di Partinico, Giuseppe Amato, ha deciso di rompere col suo passato e denunciare i suoi estorsori. Oggi, dietro a un paravento,  racconta in aula la sua vicenda di riscatto.

La testimonianza
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PALERMO – “Ho sbagliato e ho pagato. La prima cosa che volevo, uscito dal carcere, era chiudere con questo mondo per dare ai miei figli un futuro diverso”. Le dichiarazioni di Giuseppe Amato, 65 anni, imprenditore edile di Partinico, rappresentano la storia di un riscatto. Di chi è passato da una parte all’altra della barricata: dall’essere esattore del pizzo per conto della famigerata famiglia Vitale, Amato è diventato un denunciante. E oggi ha reso la sua testimonianza nel processo a carico di Alfonso Bommarito, accusato di estorsione aggravata.

Amato siede sul bando dei testimoni coperto da un paravento, che occlude la sua immagine al pubblico. Rispondendo alle domande del pm Dario Scaletta, ripercorre il suo accidentato percorso di vita contrassegnato dalle vicende giudiziarie. La prima l’ha visto condannato per favoreggiamento aggravato alla mafia. Il boss Leoluca Bagarella, infatti, quando era latitante, camminava con addosso la sua carta d’identità. Lui ha negato di avergliela concessa ma, alla fine, ha patteggiato la pena. Dopo la prima disavventura giudiziaria, Giuseppe Amato è finito per servire la famiglia dominante della mafia di Partinico: i Vitale. Per sei anni, per loro conto, infatti, ritirava le buste con i soldi del pizzo da un imprenditore per farle giungere a destinazione. Vicende che lo hanno portato a subire una ulteriore condanna a 5 anni per concorso esterno all’associazione mafiosa, oltre al sequestro di beni.

Ma, appena voltate le spalle alla galera, ha deciso che nulla sarebbe più stato come prima. La sua azienda non esisteva più, ma c’era quella dei figli, dove Amato lavorava prestando la sua esperienza del settore. È, come una sorta di scherzo del destino, a lui sono andati a chiedere il pizzo. “Intorno alla metà di ottobre 2010, fui contattato telefonicamente da Alfonso Bommarito, il quale mi chiede un incontro per un caffè – ha messo a verbale Amato – Nell’occasione Bommarito mi disse che era stato mandato ‘dagli amici nostri, quelli di là sopra’”. E chi meglio di lui era in grado di capire che si trattava di un’estorsione? “Risposi che io non avrei pagato nessuno in quanto ritenevo i Vitale già responsabili di tutte le vicende penali che mi avevano personalmente coinvolto” ha aggiunto Amato di fronte ai carabinieri di Monreale il 26 novembre 2011. Un concetto ribadito, anche in maniera più colorita, oggi in aula: “I Vitale non solo m’hanno fatto passare tutti i guai, ma mi vengono anche a chiedere piccioli. Quindi li ho mandati a quel paese”.

Ma la legge di Cosa nostra valeva anche per lui, per questo, dopo il rifiuto, Giuseppe Amato ha subito il danneggiamento dell’auto e della sua abitazione. Bommarito si è ripresentato dopo 15 giorni sostenendo che non fossero i Vitale i suoi mandanti. Chiamato a rendere dichiarazioni sull’attentato incendiario, però, Amato ha preferito non dire nulla. Fino a quando la foto di Bommarito non è uscita nei giornali perché arrestato nell’ambito dell’operazione antimafia “The End”. A quel punto ha preso il coraggio per le mani e si è presentato di fronte ai carabinieri per denunciare. Una scelta certamente non facile in cui la sua famiglia ha avuto un peso specifico. “Quando sono stati arrestati, i miei figli volevano aderire all’associazione antiracket ‘Libero Futuro’, ad ‘Addiopizzo’. Così sono entrato in contatto con loro e ho avviato un percorso che poi mi ha portato a denunciare tutte cose, mi sembrava l’unica cosa da fare, se dovevo fare il passo non potevo non collaborare con la polizia e i carabinieri”.

E gli attivisti dell’associazionismo antiracket sono lì, in aula, a sostenerlo. “Partinico non è Palermo – dice Enrico Colajanni, presidente di ‘Libero Futuro’- lì la presenza di imprenditori border-line è di nove su dieci. Chi denuncia si espone più degli altri perché tutti, soprattutto nellìmabito dell’edilizia, hanno avuto a che fare con la mafia. Sono soggiogati. Non si tratta di pagare il pizzo ma di essere vessati in tutti modi. Lo stesso Amato ha eseguito per anni lavori ai Vitale senza essere pagato. E nella sua condizione sono in tanti. Ma anche a Partinico . Conclude – sta saltando il coperchio”, realtà diversa.


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