C’erano una volta Giovanni e Francesca

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23 Dicembre 2009, 10:32

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Il biglietto che Francesca Morvillo scrisse a Giovanni Falcone diceva così:  “Giovanni amore mio, sei la cosa più bella della mia vita. Sarai sempre  dentro di me così come io spero di rimanere viva nel tuo cuore. Francesca”. Il signor Paparcuri me lo mostrò in una stanza del palazzo di giustizia. E accostò il dito alle labbra: “Non dirlo a nessuno, me lo toglierebbero”. E io mi sono tenuto dentro quel piccolo pezzo di carta. Talora ne ho scritto e ne ho parlato,  senza mai citare la fonte. Ora che Paparcuri – in una bella intervista a Salvo Palazzolo – ha rotto il sigillo di quel segreto, posso farlo anche io. E posso raccontare che quella minuscola isola di carta ha cambiato il senso della mia comprensione di una cronaca atroce. Ho capito che a Capaci non morirono solo il signor giudice, sua moglie e gli angeli custodi della scorta. Morirono ragazzi in carne ed ossa. Morirono un uomo e una donna che si amavano. Da allora il mio dolore – il dolore che tutti avvertiamo – si è come raddoppiato, nella percezione esatta della perdita. E non c’è altro da dire. Ma chissà perché mi viene in mente una canzone di De Gregori:  “Che passi il segno della piena,  su questo cuore e su questa schiena,  e si addormentino gli amanti all’ombra del vulcano.  Possa bruciare sempre la tua mano, nella mia mano.  E consumarsi il mio destino col tuo destino”. Il brano si intitola “Baci da Pompei”.

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23 Dicembre 2009, 10:32

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