Mafia, il dovere di cercare la verità: noi non dimentichiamo

Mafia, il dovere di cercare la verità: noi non dimentichiamo

Le parole del procuratore e la memoria

È stato nutriente per la coscienza collettiva apprendere su queste pagine, pochi giorni addietro, dal Procuratore Maurizio De Lucia che sulle stragi del ’92 e ’93 “si stanno facendo tutti gli sforzi per individuare le responsabilità nelle sedi processuali”. Ed ha aggiunto: “Resta però il compito degli storici e dei politici. In particolare questi ultimi devono lasciare intatti gli strumenti per accertare la verità. Sappiamo che il tempo non aiuta chi investiga, ma l’accertamento della verità è un debito che non possiamo annullare verso le vittime, verso i loro familiari e verso la Repubblica.”. Dirsi d’accordo con il dottor De Lucia può apparire banale, ma non lo è se si dà un’occhiata, anche se a volo d’uccello, su quanto accadde giudiziariamente in quel tempo e che vede, al centro, come perno fattuale, il dossier mafia-politica-appalti.

La prima vittima della stagione delle stragi iniziata nel ‘92 fu, a marzo, il deputato Dc Salvo Lima, poi, ad aprile, il maresciallo Giuliano Guazzelli, ucciso perché aveva rifiutato di annacquare le accuse – contenute in quel dossier – contro Angelo Siino, il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa nostra. Poi Giovanni Falcone, con la moglie Francesca Morvillo, poi Paolo Borsellino. E i loro uomini di scorta. Falcone era stato tanto interessato al dossier che nel consegnarlo al capo della Procura Pietro Giammanco – e in previsione dell’imminente trasferimento al ministero di Giustizia – gli aveva raccomandato di affidarglielo perché divenisse il “dossier Falcone” così che, dopo aver lasciato gli uffici di Palermo, nessuno avrebbe avuto la faccia tosta di non dargli seguito. Giammanco non glielo affidò. E anche Borsellino, intuendo l’importanza investigativa e il peso dissestante del documento per comprendere gli equilibri politico-mafiosi anche di rilevanza nazionale, dopo la morte di Falcone se ne era nascostamente interessato.

Sì, nascostamente, al di fuori delle vie ufficiali, convinto com’era che la strage di Capaci vi fosse collegata. Poche ore dopo la strage di via D’Amelio, dalla procura di Palermo parti la richiesta di archiviazione di quel dossier e dopo meno di un mese il gip l’archiviò. Tutto fu legittimo e istituzionale. Ma rimase e permane una domanda: l’interesse elevatissimo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino nei confronti di quelle indagini racchiuse in circa mille pagine fu il frutto di inadeguatezza di valutazione? Quindi, almeno in quella circostanza, i due mostrarono di non essere all’altezza della loro meritata fama? La risposta è una soltanto, ma rimangono i perché sulle spalle di altri.

Oggi il dossier mafia-politica-appalti è da mesi nelle mani della Procura di Caltanissetta e ne attendiamo gli esiti, comprese le inevitabili parziali prescrizioni. Su quei fatti ormai lontani, ma persistentemente criminali, anche il procuratore De Lucia ha confermato la sua attenzione e ciò aiuta il dovere della memoria e la fiducia dei cittadini. Noi non dimentichiamo.


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