PALERMO – Calogero D’Anna, considerato il capo della banda dei rapinatori arrestati ieri dalla polizia, era stato convocato negli uffici della squadra mobile. La sera prima assieme a Calogero Alaimo, pure lui coinvolto nel blitz, avevano messo a segno il colpo in una gioielleria di via Ausonia.
D’Anna non poteva rispondere al telefono, ma Alaimo iniziò a sospettare che fosse scappato con il bottino. E chiese aiuto a due persone non ancora identificate. Si conoscono i nomi, “Andrea” e “Paoluzzu”, ma dalle intercettazioni emerge il loro “indubbio spessore criminale”. Così lo definiscono i pubblici ministeri di Palermo.
La sera prima della convocazione dei poliziotti, e a poche ore dal colpo, c’era stata un’accesa discussione fra Alaimo e D’Anna. Quest’ultimo ne parlava con la moglie e un amico senza sapere di essere intercettato. Giudicava infamanti i sospetti sul suo operato, ma non riuscì ad allontanarli da sé. E così fu convocato dai due personaggi di spessore. Temendo il peggio si era presentato con “bulldog”, soprannome di un pregiudicato del Capo, identificato in Francesco Ferdico.
“Vogliono sapere, se ti devi andare a magiare il pitto di pasta là o là”, diceva D’Anna. Da quel momento i due pezzi grossi dovevano essere informati su ogni cosa. La banda dei rapinatori non era libera di muoversi in autonomia.