Il naufragio, i sogni spezzati di Hannah e di chi cerca una speranza

Il naufragio, i sogni spezzati di Hannah e di chi cerca una speranza

Il dolore di una madre e di tutti i genitori
LA TRAGEDIA DEL BAYESIAN
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Hannah era una giovane donna generosa, intelligente e brillante. Hannah amava la poesia, la scrittura e i documentari. Aveva desideri, speranze, progetti. Il sogno di un futuro pieno. Dicono gli amici che era una supernova Hannah, illuminava con la sua energia e la sua luce il cammino di coloro che incrociava. Una delle studentesse più dotate del Paese, racconta il suo professore di letteratura. Joyce, Faulkner, Nabokov.

Te la immagini bella, bellissima, al ballo di fine anno organizzato dalla prestigiosa scuola londinese. Radiosa nell’abito lungo, i capelli lucidi e gli orecchini pendenti. L’imminente inizio del percorso universitario. Quel tempo in cui la vita promette tante meraviglie.

Hannah era. Hannah aveva. Perché Hannah non c’è più. Si trovava in rada a Porticello, a bordo del lussuoso Bayesian tra le 3:50 e le 4:06 dello scorso lunedì, quando il veliero si è trasformato in un Titanic in miniatura. Sedici minuti di puro terrore. Sedici minuti in cui tutto è sfumato. La vita, fino a un momento prima colma di promesse, le ha improvvisamente girato le spalle.

Provi a immaginare quale direzione possano avere preso i pensieri della ragazza negli ultimi istanti di vita: la lucidità della fine che incombe, la mente che corre alla ricerca di qualcosa – un oggetto, un volto, un ricordo – che renda per l’ultima volta felici i giorni vissuti, che imploreranno inutilmente di restare. E poi, all’improvviso, il buio.

Hannah e Mike Lynch

La giovane Hannah ha caricato su quella meravigliosa barca a vela il suo bagaglio di sogni e speranze ma, per via di un destino beffardo, in questo momento il suo corpo è adagiato in una cella frigorifera accanto alla salma del suo papà.

Ad attendere al molo Hannah, quel che resta di Hannah tra le braccia delicate e pietose dei soccorritori, c’era la mamma. Sobrietà, mancata ostentazione, dolore sommesso. I magici tramonti eoliani di qualche giorno prima, solo un lontano e confuso ricordo.

La comunità della piccola borgata si è stretta per consolare, sostenere, confortare nel momento del dolore più terribile, più straziante. La perdita di un figlio. Rifletti sul caleidoscopio di sensazioni, stati d’animo e sofferenza che avvolge l’animo di questa donna. Il dolore. Il senso di colpa. La rabbia. Le tante domande senza risposta. Perché proprio a sua figlia? Perché proprio a lei? Come sopravvivere da oggi in poi?

La sensazione di impazzire al pensiero di essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. La drammatica consapevolezza che quello che avrebbe dovuto essere per sempre si è, invece, interrotto; che l’intera esistenza è scivolata verso il disordine e nulla potrà essere più come prima. Una madre senza più una figlia. Una condizione talmente contronatura che non esiste nella nostra lingua un termine che identifichi un genitore che non è più tale.

Pensando a quel corpo avvolto nel sacco verde, sono tante le domande riguardo la dinamica dell’incidente, la causa che l’ha determinato e le responsabilità, se esistono. Ma sentiamo con chiarezza che, se anche una risposta esauriente a queste domande fosse data, non ci soddisferebbe del tutto. Rimane la consapevolezza della vulnerabilità dell’esistenza umana.

La morte è sempre un mistero. Per come giunge, per quando giunge. Può arrivare in forme che non ci aspettiamo e che non siamo in grado di prevedere. Un momento di distrazione, una casualità imponderabile, la potenza distruttiva della natura riescono ad interrompere un’esistenza umana fatta di affetti e sentimenti. Lasciando sconcerto, smarrimento, disperazione.

Chi crede trova conforto nella preghiera, nella misericordia di un Dio che dà senso a tutte le sofferenze e nell’esempio del Figlio morto e risorto, che alimenta la speranza di una vita oltre la morte: la fede accende la speranza dell’eternità. Eppure, sono questi i momenti in cui la fede rischia di essere incrinata dall’umana impossibilità di trovare un motivo per cui un Dio buono possa permettere tanto dolore.

La mamma di Hannah troverà, forse, conforto nel pensiero che quella vita, seppure breve, è stata piena e felice; l’esistenza umana non è impreziosita dalla lunghezza del tempo trascorso ma dalla intensità con cui si è vissuto. La mamma di Hannah avrà una tomba su cui piangere. “Nell’urna confortata dal pianto è forse il sonno della morte meno duro?”, si chiedeva Foscolo.

Risposta non c’è; eppure, pensi alle madri delle centinaia di giovani che sono morti nello stesso mare, che di quei corpi da seppellire e da piangere sono prive. Perché inghiottiti dal mare e mai più recuperati. Quei giovani partiti alla ricerca della dignità di un lavoro o in fuga da guerre, fame e violenza che hanno cercato di raggiungere via mare un mondo migliore. Ed invece il mare nostrum ne è diventato tomba e cimitero. Il mare fa così: toglie ed aggiunge, sottrae e restituisce.

Sembra banale, ma dinanzi al destino siamo tutti uguali. Chi veleggia sul superyacht e chi sfida le tempeste su un barcone di fortuna. I sogni spezzati di Hannah sono anche i sogni spezzati di tanti, tra ragazze e ragazzi, che hanno trovato la morte cercando la speranza.

“Non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”. Suona per noi che siamo parte dell’umanità e ad ogni rintocco l’umanità perde un suo pezzo. Hannah che si spendeva per i diritti delle donne, Hannah studentessa modello attenta ai temi sociali, sarebbe stata d’accordo. Riposa in pace, Hannah.


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