CATANIA – Non sono mancate le sorprese nel processo a carico del collaboratore di giustizia Giacomo Cosenza accusato di calunnia. Il pentito ha deciso di prendere carta e penna e scrivere una lettera all’ispettore superiore Gaetano Buffo chiedendo scusa. La missiva su richiesta dell’avvocato Michele Ragonese, che assiste il poliziotto che si è costituito parte civile nel procedimento insieme al Ministero dell’Interno, è stata acquisita nel processo che si celebra davanti al Tribunale di Catania, presieduto dalla giudice Rosa Alba Recupido (nuova composizione, ndr). “Cosenza scrive che sarebbe stato indotto”, ha affermato l’avvocato Ragonese riassumendo alcuni passaggi cruciali della missiva arrivata negli uffici dellla Squadra Mobile a fine giugno. Da chi? Il pentito ha fatto nome e cognome. Nella busta Cosenza infatti ha allegato anche una denuncia inviata alla Procura della Repubblica nei confronti dell’ispettore Filippo Faro. Faro è lo stesso ufficiale che la sera del 4 novembre 2013 ha fatto quella domanda a Cosenza da cui è scaturita tutta la travagliata vicenda giudiziaria che ha portato all’apertura dell’indagine a carico di Buffo, poi archiviata perché ritenuta senza fondamento sia dalla Procura che dal Gip. Tanto è che la Procura ha chiesto (e ottenuto) il rinvio a giudizio del collaboratore di giustizia Giacomo Cosenza per calunnia. L’avvocato Ragonese ha citato testualmente alcuni passaggi della lettera di Cosenza: “Ho denunciato l’ispettore Faro che pagherà per questa ingordigia”. E ancora: “Io mi metterò in ginocchio per chiederle scusa”. Parole ribadite nel corso dell’udienza da Cosenza, che ancora una volta ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee. “Io mi ritrovo scritto sul giornale per una cosa che non ho fatto”, ha affermato rivolgendosi alla giudice Recupido.
Oltre al fuori programma della lettera, questa mattina sono stati esaminati due dei testi citati dal pm Santo Di Stefano. Per primo si è seduto sul banco dei testimoni l’assistente capo Rosario Battiato, che per diversi anni ha fatto parte della tutela dell’imputato. “Cosenza non ha mai manifestato preoccupazioni sul fatto che qualche mio collega della Squadra Mobile potesse essere colluso”, ha risposto Battiato a diretta domanda dell’avvocato Michele Ragonese. Poi si è arrivati alla famosa mattina del 5 novembre 2013. Quella in cui Cosenza ha consegnato all’ispettore Faro un bigliettino con su scritto “Tony… Lancia Musa”. Il componente della scorta del pentito ha raccontato di aver “lasciato Cosenza all’ispettore Faro, che conosco, e a un altro collega, però di cui non so indicare il nome, all’interno dell’albergo che si trova a due passi dalla Squadra Mobile (in via Ventimiglia, ndr)”. Un particolare su cui si è concentrato anche l’avvocato dello Stato Domenico Maimone, che rappresenta il Viminale come parte civile. Un ulteriore dettaglio è stata la “Lancia Musa” indicata in quel pezzetto di carta consegnato da Cosenza all’ispettore in servizio alla Direzione Investigativa Antimafia di Catania. L’auto sarebbe stata in dotazione della sezione Narcotici. Sezione in cui non ha mai lavorato l’ispettore Buffo, ma in cui invece operava un altro Tony. Chi? “Tony Galvagna”, ha detto Battiato su preciso quesito dell’avvocato Ragonese.
Ma è la testimonianza del brigadiere Alfio Trovato che ha fatto salire ancora una volta la temperatura nell’aula Famà. Trovato nel 2013 era in servizio alla Direzione Investigativa Antimafia ma non si occupava direttamente dell’indagine. “Ma in ufficio ho sentito parlare di questa vicenda”, ha detto rispondendo alle domande dell’avvocato Ragonese. “Ricordo di aver sentito che l’ispettore Faro avrebbe chiesto a Cosenza se conosceva qualcuno anche del nostro ufficio che fosse colluso. Cosenza quella sera (il 4 novembre 2013, ndr) non avrebbe fatto alcun nome ma avrebbe detto che si sarebbe informato con un parente, mi pare che i colleghi abbiano parlato di un cugino. Poi il giorno dopo (il 5 novembre 2013, ndr) avrebbe fatto il nome dell’ispettore Tony e della Lancia Musa”, ha raccontato nel corso dell’esame dell’avvocato Ragonese. Una ricostruzione però che non collima con quanto emerso nel corso del processo. Perché come anche messo in calce nella nota di servizio redatta dalla Dia all’epoca dei fatti (e citata dalle parti anche durante l’esame dell’ispettore Filippo Faro), Cosenza già la sera del 4 novembre 2013 negli uffici della Dia avrebbe fatto il nome di “Tony”, un poliziotto che ha “un pecco”, cioè un soprannome. Trovato però non ha saputo indicare con precisione la sua fonte. “Sicuramente ne ho sentito parlare tra i componenti del gruppo di lavoro che si occuparono del caso”, ha precisato.
Nella prossima udienza il pm esaminerà l’ispettore Gaetano Buffo, parte offesa nel procedimento. E poi sarà la volta dei testimoni citati dall’avvocato Michele Ragonese. Il processo si avvia alla fase cruciale.
L'udienza, oggi, nell'aula dedicata all'avvocato Famà.
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