Incendi nei boschi, 29 anni dopo la strage di Castiglione - Live Sicilia

Incendi nei boschi, 29 anni dopo la strage di Castiglione

Il 18 agosto 1993, nel rogo di monte Culma, morirono quattro persone del Corpo forestale della Regione Siciliana.

CASTIGLIONE DI SICILIA – Monte Culma, versante Sud dell’Etna. È il 18 agosto 1993. Fa caldo, c’è vento, un terribile incendio sta devastando il territorio. Sul campo, a spegnere le fiamme, ci sono anche quattro dipendenti del Corpo forestale della Regione Siciliana. Quel giorno moriranno uccisi dalle fiamme di un rogo che non ha loro lasciato scampo. Oggi, 29 anni dopo, è il giorno del ricordo del sottufficiale Francesco Manitta, originario di Randazzo, del caposquadra Vincenzo Zumbo e dei due operai antincendio Benedetto Mineo e Giuseppa Manitta, tutti originari di Castiglione di Sicilia, il Comune nel cui territorio è divampato il rogo. Alla commemorazione, a Linguaglossa, ci sono l’Ispettorato ripartimentale Foreste, le amministrazioni di Linguaglossa, Castiglione e Piedimonte Etneo, e i colleghi di Zumbo, Mineo e dei due Manitta.

Mentre Pantelleria brucia e la Sicilia vive un’altra giornata di allerta caldo, sotto alla lapide di contrada Boriglione (luogo di raccolta delle squadra antincendio boschivo) eretta in memoria delle vittime del ’93, il ricordo diventa monito. “Mi ricordo bene quei giorni di 29 anni fa”, racconta a LiveSicilia Antonino Lomonaco, operaio antincendio e addetto radio al centro operativo di Catania, tra i più attivi nel perpetuare la memoria dei colleghi morti in servizio. “Era un momento storico completamente diverso da questo – prosegue Lomonaco – Erano i primi incendi di grande portata. Fino ad allora, un grande argine erano le coltivazioni: gli agricoltori tenevano puliti i luoghi in cui lavoravano, i loro campi, le strade per arrivarci. Oggi molti terreni sono stati abbandonati e sono incolti…”, ragiona.

In più il cambiamento climatico, le estati sempre più calde, il territorio che cede sempre più al dissesto idrogeologico. E, soprattutto, la mano dei piromani, spesso interessati a vedere la Sicilia andare in fumo. “Nonostante tutto quello che viene detto di noi, in questi anni abbiamo fronteggiato ogni emergenza al meglio delle nostre possibilità, come ingranaggi di un sistema più ampio – aggiunge – Non ci sono incendi che durano giorni o settimane, come avviene in altre parti della stessa Europa. Ma facciamo il possibile con i mezzi che abbiamo e, spesso, gli strumenti hanno trent’anni di servizio come noi che li usiamo. La nostra età media è ormai tra i 55 e i 60 anni e il ricambio generazionale di cui ci sarebbe bisogno viene sempre rimandato”.

In un’Isola in cui si spendono decine di migliaia di euro per ogni ora di attività dei mezzi antincendio aerei (elicotteri, canadair), “servirebbero braccia nuove, con una formazione migliore, perché altrimenti il futuro sarà buio”, commenta Antonino Lomonaco. “Ogni ettaro di terreno che va a fuoco è un ettaro di terreno che più facilmente cederà alla desertificazione, alimentando un circolo vizioso. Giornate come oggi servono sì a commemorare, ma anche ad attirare l’attenzione su un problema di programmazione per il futuro – conclude – Nel 2017 mi sono infortunato sul lavoro, ho rischiato di fare la stessa fine dei quattro colleghi. Da allora mi sono dedicato a fare sì che quanto accaduto venga ricordato, affinché il ricordo smuova le coscienze e l’impegno di tutti”.


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