L’altra sera, al supermercato, chi c’era ha ascoltato lo sfogo gentile della signora alla cassa: “Sto qui per qualche mese, quando posso ottenere un contrattino. Sono laureata col massimo dei voti. La mia collega del banco dei salumi è pure lei laureata, con lode. Non mi lamento. Anzi, mi reputo fortunata”. Era appunto uno sfogo che comunicava tenerezza. Non c’era ribellione, né rivalsa nelle parole di una giovane donna. C’era però – lei incolpevole – qualcosa di peggio: la mestizia di chi è stato costretto ad afferrare una delle parti migliori di sé – gli studi, la fatica, le levatacce all’alba col sole o con la pioggia per seguire le lezioni – per bruciarla sul falò di un sogno impossibile.
Deve esserci qualcosa di sbagliato se una laureata con profitto va a fare la cassiera precaria in un grande magazzino. Ogni lavoro è nobile, specialmente quando costa sacrificio. C’è dell’eroismo nell’accontentarsi, per non essere un peso, quando proprio non si trova altro. Ma – insistiamo – deve esserci qualcosa di orribilmente sbagliato in un Paese che prende i suoi giovani, dopo anni di formazione, e li mette al bancone del prosciutto, o li costringe ad espatriare in cerca di un futuro migliore fuori dai confini.
E c’è qualcosa di terribile in una società sagomata a caste che consente ai figli degli aristocratici di ereditare mezzi e risorse, pure quando sono scarsi, mentre relega i figli degli ultimi nel cantuccio dell’arrangiamento. E c’è qualcosa di scandaloso nell’allegria con cui si arrostiscono i cervelli più svegli nella brace della noncuranza degli imprenditori che sfruttano la manodopera, resi forti dalla crisi, della politica che volge lo sguardo dall’altra parte. Così l’Università appare spesso l’ingresso di un camposanto di desideri perduti.
Eppure, basta camminare una mattina in viale delle Scienze, tra i padiglioni della cittadella del sapere di Palermo, per incontrare quegli stessi desideri ancora vivi, negli occhi dei ragazzi, nella curiosità delle domande che pongono, nel valoroso sbattersi tra vincoli, tasse e uffici. Nel loro ostinato confrontarsi con un’istituzione che può svelarsi sorda e che talvolta rivela le trame contorte dell’inciucio, della cattedra ridotta – anche lei – a casta di parentele e amicizie, piuttosto che la limpidezza di un sentiero dei diritti.
L’ateneo palermitano si appresta a scegliere il suo nuovo rettore. Noi cominciamo ad accendere una luce nella penombra dell’informazione sull’argomento con due interviste ai candidati in campo. L’Università ci sta a cuore. Prendendo spunto dalla cronaca, la racconteremo nei progetti realizzati e nelle speranze deluse. Si tratta di vicende solo apparentemente settoriali che in realtà riguardano tantissimi e che investono le dinamiche essenziali di una comunità più ampia di ciò che si creda. Per questo non molleremo la presa. Lo dobbiamo soprattutto ai ragazzi che pensavano in grande, ma stanno invecchiando dietro il bancone di un supermercato.