La fiction su Felicia Impastato |convince all’anteprima

di

06 Maggio 2016, 11:11

6 min di lettura

ROMA – Grande commozione ieri mattina in Rai a Roma per la proiezione in anteprima riservata alla stampa del film “Felicia Impastato”, regia di Gianfranco Albano, che entrerà nelle case degli italiani in prima visione martedì 10 maggio alle 21:20 su Rai1.

Sedici anni dopo l’uscita di “I cento passi”, diretto da Marco Tullio Giordana, dedicato alla vita e all’omicidio di Peppino Impastato, figlio di un padre mafioso e giornalista attivo nella lotta contro la mafia, arriva in prima serata l’omaggio a mamma Felicia, straordinariamente interpretata da Lunetta Savino, una donna che decise di fare ciò che nessuno aveva fatto mai: parlare, denunciare, gridare al mondo i nomi e i cognomi di chi ha ucciso barbaramente suo figlio, rincorrendo lo Stato che voleva dapprima archiviare il delitto come atto terroristico, poi come suicidio per compiacere gli interessi dei mafiosi, costringendolo infine a darle giustizia, dopo oltre vent’anni.

Al film – che è una co-produzione Rai Fiction e 11 Marzo Film, prodotta da Matteo Levi – con Lunetta Savino protagonista, Carmelo Galati nel ruolo di Giovanni Impastato, Barbara Tabita nei panni del Magistrato Franca Imbergamo, Linda Caridi, Alessandro Agnello, Gaetano Aronica, Paride Benassai, Alessandro Idonea, Francesco Petix, Fabrizio Ferracane e la partecipazione di Giorgio Colangeli e Antonio Catania, quest’ultimi rispettivamente nei ruoli di Del Carpio e Rocco Chinnici.

Scritto da Diego De Silva e Monica Zappelli, con la consulenza di Giovanni Impastato, “Felicia Impastato” è sicuramente un film denso, intenso. Un film che racconta ciò che è accaduto all’indomani dell’omicidio di Peppino. Il 9 maggio 1978 dunque non è solamente il giorno in cui a una madre viene strappato un figlio per mano mafiosa, è anche il giorno in cui una donna di un piccolo centro del palermitano qual è Cinisi, decide, per prima, di uscire dal vile ghetto dell’omertà, scegliendo di non vendicarsi ma di puntare il dito contro gli assassini di suo figlio, ovvero, contro Gaetano Badalamenti e i suoi uomini.

Abbiamo incontrato a Roma Carmelo, co-protagonista nei panni di Giovanni, fratello di Peppino

Che esperienza è stata sia da un punto di vista umano sia da un punto di vista professionale?

“Nella carriera di un attore ci sono dei momenti belli che coincidono ed è quando grazie a questi riesci a fare esperienza. Ecco questa per me è stata un’esperienza totale, di quelle che ti porti per il resto della vita. Un percorso prima di tutto umano, poi professionale. Umano perché essendo il co-protagonista ho avuto modo di andare con i miei piedi dentro la storia di una famiglia come quella degli Impastato, in una periferia del mondo. Dopo cinque provini, quando mi hanno comunicato che avrei interpretato il ruolo del fratello di Peppino, sono partito da Roma e mi sono precipitato a Cinisi entrando quindi in contatto con tutti loro. Giovanni, Felicetta, Luisa, i compagni di Peppino: li ho conosciuti tutti e sono felice perché, soprattutto Giovanni, sono persone che frequento ancora. È stato come tuffarsi in un mare dal quale sono uscito più ricco e soprattutto maggiormente consapevole di una dolorosa verità. Prima delle riprese sono stato lì a chiedere, a fare domande a tutti loro, il più delle volte imbarazzanti perché sapevo che in qualche modo avrei scoperchiato dei ricordi crudi, che però per me erano fondamentali per cercare di interpretare il ruolo al meglio e restituire quindi la realtà alla fiction. Sembrerà banale, ma tutte le volte che studiavo una scena, io andavo da Giovanni o Felicetta e chiedevo loro se quello stavamo per raccontare era realmente accaduto. Perché si, notoriamente anche quando ci sono film comunque fedeli alla realtà, evidentemente il racconto assume forme di finzione. Lì, purtroppo, era tutto un’amara verità. Ciò che mi porto dietro è una sorta di medaglia umana, non so come spiegarlo meglio: essere stato partecipe e aver dato il mio contributo a mettere luce ancora una volta a questa storia è per me un onore. Mi sono confrontato più volte con Giovanni e una delle cose che ho in comune con lui è la passione per la politica. Io prima di fare questo lavoro sono soprattutto un cittadino che legge, approfondisce, si interessa. Giovanni la passione politica ce l’aveva in casa e infatti in una scena alla quale sono affezionato lui stesso al maresciallo che gli chiede che lavoro facesse risponde: “Io ho una pizzeria, ma se lo vuole sapere io le idee di mio fratello le condivido tutte”. Da un punto di vista professionale, invece, ritengo che la scelta del cast – curata da Chiara Agnello – è stata una scelta importante perché è un film fatto di piccole cose, di fili rossi molto sottili dove per forza di cose le emozioni, le sensazioni, sono quelle che spero arrivino prima delle altre, per cui la scelta delle persone con cui condividere questa esperienza è rilevante perché noi attori non siamo soltanto catapultati sul set a dire le battute, anzi, siamo lì a guardarci negli occhi condividendo quel momento di storia reale. Ritengo anche che quando un attore fa una buona performance, lo deve al compagno con cui sta recitando e io quasi tutte le scene le ho condivise con Lunetta Savino che non è soltanto una straordinaria attrice, ma anche una maestra. Lei ti insegna le cose ed è talmente una grande compagna di lavoro che le cose le vuole insegnate. Non finirò mai di ringraziare prima Gianfranco, poi Lunetta per aver creduto che la mia partecipazione – a differenza di attori più noti di me – potesse dare un valore aggiunto al progetto.”

Articoli Correlati

C’è un personaggio che ti piacerebbe interpretare in futuro?

“Il desiderio di ogni attore credo sia quello di interpretare personaggi realmente esistiti, spesso meno noti di altri, come Mario Francese, Giuseppe Fava, Calogero Zucchetto che erano uomini, giornalisti, poliziotti che hanno lottato come Peppino per cercare la verità e sono stati ripagati, purtroppo, con lo stesso destino. Io non ho frequentato scuole di recitazione, ho fatto tutto da autodidatta. Ho sempre sperato sin da giovane e ci spero ancora di poter fare questo mestiere interpretando dei ruoli che, in qualche modo, lascino dei messaggi, soprattutto alle nuove generazioni.”

Senti di dover ringraziare qualcuno?

“Si. Oltre a Gianfranco Albano mi sento di ringraziare Luca Ribuoli. Ecco Luca è un’altra persona che ha creduto in me (prima con le fiction “L’allieva” e “Grand Hotel”, adesso con la serie “La mafia uccide solo d’estate”) e che mi ha dato la possibilità che ogni attore vorrebbe: quella di trasformarsi e quindi non essere solamente il prolungamento di se stessi.”

­Come si vede Carmelo Galati tra vent’anni?

“Questa è una bella domanda (sorride). Tra vent’anni mi piacerebbe molto essere un produttore e avere quindi le forze per riuscire a raccontare storie che spesso rimangono emarginate: la soddisfazione e il sentimento di partorire un’idea e realizzarla è una cosa straordinaria.”

A conclusione della conferenza stampa, Giovanni Impastato – rispondendo alla domanda di una giovane giornalista che gli chiedeva un pensiero sul caso Regeni – ha invitato i giovani a credere fino in fondo nelle loro idee, a perseguirle uscendo dalla logica della rassegnazione perché, come avrebbe detto mamma Felicia, “i cattivi si combattono con i libri, non con le pistole”.

Pubblicato il

06 Maggio 2016, 11:11

Condividi sui social