Se questa fosse una storia di cappa e di spada da film antico, potrebbe intitolarsi: “Tony Rizzotto contro tutto il varesotto”. E sarebbe suggestivo immaginare i contendenti che si rincorrono e si sciabolano, senza risparmiarsi colpi, dalla sala all’altra di un castello riccamente turrito e un po’, solo un po’, salviniano. Ma si tratta di politica nostrana, lì dove la fantasia non va mai al potere. Dunque, si rinfoderino le lame che rimarranno metafore spuntate. Questa è la vicenda di Tony e del suo ormai noto rapporto burrascoso con la Lega, fino alla separazione, narrata da lui medesimo, a filo di cronaca e adesso qui, nel corso di una intervista, con ampia facoltà di replica dei coinvolti e rilassata foto ricordo in redazione.
Onorevole Rizzotto, come è capitato alla corte di Salvini?
“Grazie all’intervento di due cari amici, Lo Monte e Attaguile. Io mi sentivo ormai in difficoltà nel Movimento per le Autonomie, quello che era rimasto, di Raffaele Lombardo che resta un caro amico pure lui. Li ho incontrati a Messina e mi hanno illustrato il progetto. Non è stato difficile convincermi anche in ottica di candidatura alle regionali”.
Insomma, vi siete piaciuti.
“Avevo capito che si trattava di un’idea vincente. Salvini stava persuadendo tutti gli italiani ed era una scelta coerente con la mia storia di autonomista”.
E dunque?
“Arrivo pochi giorni prima della campagna per le elezioni regionali, subito impegnato, senza risparmiarmi, senza riposare. Qualcuno mi dava del pazzo per l’azzardo. Modestamente, ci ho azzeccato. Mi sentivo bene. Il mio stato d’animo era bellissimo. E ci proiettavamo per le politiche”.
Sipario sul primo atto, che fa sospira?
“Il giocattolo si rompe qualche mese dopo con l’arrivo del commissario…”.
Ma chi? Il senatore Stefano Candiani?
“…Ecco, il nome l’ha fatto lei. Mi chiedo ancora oggi che motivo ci fosse di mandare un commissario in Sicilia. Avevamo tutto per garantire da soli il funzionamento e l’organizzazione del partito”.
E si è dato una risposta?
“Boh… C’è Candiani e fa le sue scelte da varesino, nato lassù. Ma un varesino che può conoscere della nostra realtà? Persone e territori sono oscuri per lui”.
Che fa, la discriminazione al contrario?
“Ma nooooo…. (sorride), parliamo di politica”.
E all’inizio?
“All’inizio si mette al mio fianco ed è logico. Cominciamo a girare insieme. Le amministrative… Lo porto a Cerda…”.
A mangiare i carciofi?
“… No, era di pomeriggio. Abbiamo preso il caffè. Sembrava un sodalizio importante, avremmo potuto compiere grandi cose insieme. Io facevo politica da ventidue anni nella mia zona… Ero e sono bravino, diciamo così”.
Che fa, sospira di nuovo, onorevole. E poi che succede?
“Poi succede che Candiani individua come uomo forte della Lega un consigliere comunale di Palermo, Igor Gelarda, eletto con i Cinque Stelle. Gelarda pianta il movimento e in meno di un mese si ritrova le chiavi del partito in mano”.
E questo a lei non andava a genio. Gelosia? Si è sentito messo da parte?
“No, è che lui mi ha combattuto, non è mancato per me. Io sempre disponibile sono stato…”.
Ovviamente sia Gelarda che Candiani potranno ribattere, se vorranno.
“Certo, non temo il confronto. Non mi invitavano nemmeno alle iniziative, come se fossi un corpo estraneo”.
Ma lei ha aderito a ‘Ora Sicilia’. Anche loro, i suoi ex amici leghisti, si saranno un pizzico risentiti, no?
“E che avrei dovuto fare? Nella Lega in Sicilia non c’è alcun tipo di democrazia. Io per chiacchierare con voi e concedere un’intervista avrei dovuto chiedere il permesso. Sono qua perché resto un uomo libero”.
E allora?
“E allora c’è malessere tra i leghisti della prima ora qui. Tanti si sentono attaccati e qualcuno ha scritto pure lettere di protesta. Spero che verranno lette”.
Spera anche che intervenga Salvini?
“Nel mio caso sarebbe troppo tardi, la mia scelta non è suscettibile di revisione. Abbandono la Lega con un profondo rammarico che ho espresso in un telegramma a Giorgetti e Salvini. E comunque mi lasci dire…”.
Dica pure.
“Io me ne sono andato, non sono stato cacciato. Ci tengo a precisarlo. E non è vero che inseguo una poltrona. Credo nell’azione del presidente Musumeci, a cui bisogna dare sostegno perché ha una maggioranza risicata, che, peraltro, con Salvini ha un rapporto privilegiato, diretto e personale. Infatti, è stato invitato a Pontida”.
Non insegue la poltrona? Sarebbe una rarità.
“Io le poltrone me le sono sempre conquistate da solo, con i miei voti che rimangono appunto miei. Non avevo bisogno della Lega. E non sono mai stato un ascaro. Non me lo possono dire questo, non lo accetto. Infatti scendo, per coerenza, da un carro vincente. Lo scriva”.
Cosa direbbe a Salvini se fosse qui con noi a prendere un caffè o a Cerda per una conviviale a base di carciofi?
“Matteo, scusa, perché hai mandato un commissario in Sicilia? Lui però non ha colpe, è un grande leader”.
Ma se le condizioni cambiassero, lei tornerebbe?
“La mia scelta è compiuta, come spiegavo, ma una speranza ci può essere”.
Sempre c’è. Lei è un uomo di speranza.
“Non è da escludere che ‘Ora Sicilia’ possa creare un’affinità molto bella, un rapporto con la Lega nell’ambito del centrodestra. Così potrei parlare con il mio leader, con colui che ho, mio malgrado, abbandonato. Lei che ne pensa?”.
Ci crede davvero?
“Diciamo che non sono totalmente rassegnato”.