13 Aprile 2013, 20:54
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PALERMO – Per le grandi firme, ma per la verità per le firme di tutte le misure, la fenomenologia di Vito Crimi è diventata ormai un genere letterario a sé. È un must cimentarsi nel pezzo di colore sul palermitano scelto dal Movimento 5 Stelle come capogruppo al Senato, magari allargando l’inquadratura alla sua compagna di avventura (o sventura, a seconda dei punti di vista), la capogruppo alla Camera Roberta Lombardi. Li hanno accostati ai Jalisse, all’orso Yogi e alla Signorina Rottermeier di Heidi, e chi più ne ha più ne metta. Sui social abbiamo visto impazzare le parodie di “Vito lo Smentito” e l’hashtag #Romanzocrimi spopola su Twitter, anche Crozza e Fiorello lo hanno preso di mira.
Di certo, i primi passi di Crimi e della pattuglia pentastellata di Camera e Senato, sono stati incerti e costellati da inciampi. Il capogruppo palermitano è stato smentito a più ripresa da Beppe Grillo, è incorso in un paio di gaffe come quella sul Capo dello Stato che “non si è addormentato” incontrandoli, o quella sui giornalisti che “gli stanno sul c.”, sempre costretto poi a imbarazzanti scuse pubbliche. Ma le disavventure di Crimi, al di là dei dispiaceri personali del generoso ragazzone palermitano esportato in Lombardia, incarnano quella che i media e l’opinione pubblica hanno registrato come una falsa partenza dei 5 Stelle. Le prime mosse del plotone grillino a Camera e Senato hanno strappato pochi applausi e attirato qualche antipatia. Gli onorevoli e senatori grillini, complici uscite pittoresche come quella sui microchip sottopelle di Zeitgeist e altre amenità, hanno fin qui trasmesso un’immagine non troppo brillante e l’intervista del siciliano Tommaso Currò che dice a Grillo “non siamo automi e neanche bambini” ha fotografato alla perfezione l’immagine di una comunità che appare sotto tutela, con il fiato sul collo dell’ingombrante binomio Grillo-Casaleggio.
È curioso, però, tentare un parallelismo tra la deputazione nazionale a cinque stelle e quella dell’Assemblea regionale siciliana. Nell’Isola, infatti, i grillini hanno fin qui goduto, al netto di un paio di antipatici scivoloni, di una compiaciuta attenzione da parte dei media. E sicuramente, dal punto di vista dell’immagine, se la sono cavata molto meglio dei colleghi “cittadini” di Roma. Dagli stipendi restituiti all’operosità in Assemblea, complice l’intesa con Rosario Crocetta, Giancarlo Cancelleri e compagni hanno monopolizzato l’attenzione dei media locali e nazionali, offrendo un’immagine di impegno e rinnovamento, fino alla creazione del mito di un “modello Sicilia”, della cui esportazione a livello nazionale si è a lungo (e a sproposito) vagheggiato, fino all’incidente maturato sulla legge della doppia preferenza di genere che ha segnato il tramonto del feeling con Crocetta.
Certo, i passi falsi non sono mancati, come il discutibile (o forse meglio, inaudito) video del vicepresidente dell’Ars Venturino contro il giornalista di Repubblica Emanuele Lauria. O “l’auto di servizio che non è un’auto blu”. Ma nell’insieme, per chi scrive è difficile negare che i 5 Stelle siculi godano di una reputazione invidiabile dai colleghi senatori e deputati nazionali.
Ma perché Cancelleri piace e Crimi viene preso a pesci in faccia da tutti? Al di là della simpatia e delle qualità personali (e il giovane capogruppo nisseno dell’Ars fin qui ha dato prova di avere buon senso e misura), ci sono forse anche ragioni politiche da prendere in considerazione. La prima è probabilmente legata al rapporto con Grillo e Casaleggio. Che marcano strettissimi, fino all’asfissia, i loro uomini romani, mentre per ovvi motivi lasciano maggiori margini di autonomia alle periferie. E non è un caso, forse, che la deputazione dell’Ars fin qui si sia guardata bene dall’esprimere giudizi troppo netti sui fatti nazionali, evitando di finire travolta dallo tsunami.
C’è poi un secondo elemento, legato alla legge elettorale. I grillini siciliani per arrivare in Parlamento hanno dovuto essere votati. Totalizzando anche migliaia di preferenze. Voti veri, persone anche esterne al Movimento, che li hanno scelti, operando una selezione sul territorio. Quella che il Porcellum non consente, col sistema delle liste bloccate. Per il Parlamento nazionale, deputati e senatori grillini sono stati tutti scelti con le primarie e non nominati come in altri partiti. Ma le “parlamentarie” a cinque stelle si sono celebrate on line con una partecipazione limitata a un pugno di intimi, e sono bastati un centinaio (o meno) di voti a qualche candidato per staccare il biglietto per Roma. Anche questo limite nel processo di selezione può avere avuto il suo peso. Tanto più che le “parlamentarie” sono state affollate da candidati già bocciati alle regionali, ripescati con qualche decina di clic dai militanti on line.
Insomma, forse i primi a dover guardare con maggiore attenzione al “modello Sicilia” dovrebbero essere proprio Grillo e Casaleggio. Che fino a oggi hanno snobbato (per non dire maltrattato) i media nazionali, forti della carica travolgente dell’ex comico e di una profonda sintonia con la pancia del Paese, confermata dallo straordinario risultato elettorale del movimento. Ma quando alla pancia si parla, diventare antipatici è un rischio che proprio non ci si può permettere. Gli ultimi sondaggi (per quel che ancora valgono dopo il flop delle elezioni) hanno fatto suonare un primo campanello d’allarme per i Cinque stelle. La “cura siciliana”, ossia un movimento più pragmatico, meno “grillocentrico” e più selettivo, può essere la strada giusta per non perdere lo slancio. A meno che il Movimento non proceda nel percorso inverso, quello di una ‘romanizzazione’ della pattuglia siciliana. Quella di cui ha parlato il crocettiano Nino Malafarina, secondo il quale l’irrigidimento dei grillini siciliani sulla legge della doppia preferenza sia figlia del l’irrigidimento romano del movimento. Che Malafarina abbia ragione o meno, l’impressione è che da quel genere di percorso, i 5 Stelle siciliani avrebbero molto da perdere.
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13 Aprile 2013, 20:54