La tela del governo | sulla pelle dei siciliani

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08 Settembre 2010, 00:03

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Il gioco di Lombardo si fa intricato, un rompicapo di Rubik, una sfida alla sua mente complessa. Da un canto è d’uopo accelerare pro forma, premere il pedale sul rimpasto, tenendo presente il punto (“I tecnici non mi appassionano. Però conta la maggioranza”). D’altro canto è necessario andarci piano per sopravvivere. Come Penelope, Raffaele disfa di notte quello che tesse di giorno. Ha un filo di interdizione e lo usa con cautela, affidandosi alla melina. Sa che l’alchimia è difficile. Non sarà possibile accontentare tutti, stavolta. Non scegliere, non decidere, non governare: i tre imperativi categorici dell’unica salvezza possibile. Bisogna tenere gli altri col fiato sospeso, strizzando l’occhio a questo e a quello, senza impalmare nessuno. Bisogna resistere nel fortino, rintuzzando soavemente le iniziative dei nemici di sempre e degli ex amici perfino più acerrimi. Vai con l’ordinaria amministrazione, intanto, spacciando per vittoria epica la battaglietta sull’aeroporto di Comiso. Vai con le nomine di sottogoverno. Piazzando cavalli e fanti, qualcosa, tra le macerie, resterà. Raffaele farà la sua mossa sulla scacchiera, certo, cercando probabilmente l’arrocco del governo tecnico con spruzzatine politiche. Un ibrido. Per lui il male minore. Oggi l’incontro romano con Berlusconi (già in corso) per il via libera.

Nel frattempo, la Sicilia è un vagone fermo su un binario morto, una locomotiva senza macchinista, con tanti saluti all’inizio del viaggio che era stato – nel bene o nel male – veemente. Agli affamati, alle fauci spalancate, ai volti pigolanti vengono offerti bollettini fantasmagorici, pillole di rassicurazione. Il blog del presidente sembra il diario personale di Napoleone e dei suoi successi. Raffaele Lombardo, nei video informali senza giacca, ma con la cravatta, spiega, benedice e assolve. Il termine “ascari” è il più ricorrente. La debolezza del sovrano deve poter contare sull’ombra di un nemico a cui dare la colpa. C’è sempre un fantasma sul rogo per sfamare il popolo con la rabbia e l’indignazione, se il pane non c’è.

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In questo desolante tramonto di regno, nessuno ha davvero le carte in regola. E tutti hanno perso di vista il senso non della missione – che sarebbe parola troppo grossa per i soggetti in campo – ma del mestiere. Il titanico braccio di ferro tra Fini e Berlusconi paralizza le menti, confonde le favelle già abbastanza confuse. Miccichè si è smarrito,  sta tentando di ritagliarsi un ridotto della Valtellina, un’opzione di fuga, casomai Silvio dovesse intimargli l’aut aut del brusco ritorno all’ovile con forche caudine annesse. L’Udc predica bene e sta fermo al cospetto dello sfacelo. Il Pdl doc è una nuvola gonfia di rancori e tensioni verso il mondo cattivo, contro gli usurpatori, i traditori della corona. Il Pd è dilaniato e sta lentamente scomparendo dalla scena, tra le spire delle sue contraddizioni. Giuseppe Lupo venne eletto per dare una sterzata morale e politica. Oggi somiglia di più al notaio di un collasso irreversibile. Granata, per il Fini Team, parla e scrive tantissimo in pieno trip da ribalta mediatica. In compenso, chi lo capisce è proprio bravo.

Stanno lì alla finestra del palazzo gli aristocratici del potere. Si passano il cerino, scrutando con ansia la guerra che si combatte nell’alto dei cieli. Si vestono da protagonisti della vita pubblica e sono mezze porzioni. La Sicilia è un atollo da esperimenti nucleari, una terra disgraziata senza governanti, senza oppositori dei governanti, senza figure in possesso almeno di un diploma di decenza.  Una volta Totò Cintola disse: “Questi sono i peggiori di tutti”. Primato difficile, in effetti.  Aveva forse torto quella vecchia e simpatica volpe, morta spelacchiata nell’ipocrita silenzio dei suoi onesti colleghi?

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08 Settembre 2010, 00:03

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