PALERMO – “La razza bovina cinisara rappresenta il futuro”. Parole pronunciate da Santo Caracappa, Veterinario DMV, PhD Scientific Adviser ISZ per la Sicilia, nel suo intervento di presentazione dei risultati della ricerca sulla filiera della cinisara – Cinisara’s Chain -, finanziata dalla sottomisura 16.1 ‘Sostegno per la costituzione e la gestione dei gruppi operativi del Per in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura’ del Psr Sicilia 2014-2022.
Una ricerca lunga e a tratti faticosa, che ha permesso però di svelare e per la prima volta acclarare con risultati scientifici le qualità di un animale straordinario, al cento per cento siciliano. Una razza bovina che è bandiera di sostenibilità, che resiste ai cambiamenti climatici, grazie alla sua tenacia e alla sua capacità di adattamento e che è garanzia di altissima qualità nei prodotti che ne derivano.
“Si tratta di un animale esportabile, ideale anche per terreni marginali, dove l’unico suo concorrente può essere solo la capra – continua Caracappa -. Una specie autoctona che non ha pari per la capacità di allevamento in territori difficili». La cinisara infatti viene allevata per la quasi totalità del suo ciclo vitale all’aria aperta, su terreni impervi e scoscesi, persino impossibili da coltivare, dove non solo si trova perfettamente a proprio agio, ma è in grado di trarre i nutrimenti essenziali dalla poca vegetazione che riesce a trovare e questo dà ai prodotti derivati, dai formaggi alle carni, un sapore deciso e assolutamente singolare. “Il progetto è partito quattro anni fa e non sapevamo dove saremmo potuti arrivare – aggiunge Giuseppe Ingraffia, presidente del Consorzio di tutela della razza bovina cinisara – noi allevatori avevamo un obiettivo unico e condiviso, ottenere dei risultati che ci consentissero di agire di conseguenza per fare conoscere la Cinisara e le sue qualità”.
Allo studio hanno partecipato esperti delle università di Palermo, Torino e dell’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo. “La razza cinisara innesca un sistema di gestione del paesaggio che coinvolge le parti più antiche della Sicilia – spiega Gabriele Volpato, università degli studi di Scienze gastronomiche -. Parti che vengono gestite nella loro biodiversità grazie a questo tipo di allevamento estensivo e con pochissimi input industriali. Un allevamento che non dipende da combustibili fossili né dall’importazione di mangimi. Un allevamento guidato dalla passione e dal sacrificio di fronte alle difficoltà. Un sistema a rischio, perché portato avanti da tante piccole aziende che fanno fatica, specie di fronte agli alti costi di produzione, ma che garantisce un altissimo grado di artigianalità del prodotto. Questi animali consentono di gestire ambienti che altrimenti non potrebbero essere valorizzati”.
Un sistema che va salvaguardato, ma che adesso può essere persino esportabile. “Quando abbiamo cominciato con questa razza ci hanno detto ‘non si può fare’ – racconta Francesco Sottile, docente dell’Università di Palermo, già componente del comitato tecnico scientifico per la biodiversità di interesse agricolo del ministero delle politiche Agricole -. Da dieci anni lavoriamo su queste tecniche e oggi, grazie alle sinergie tra enti oggi abbiamo finalmente embrioni da conservare”.