CATANIA- Il giorno dopo lo tzunami che ha travolto la commissione tributaria etnea con l’arresto del presidente di sezione Impallomeni, dell’imprenditore Giuseppe Virlinzi e di altri tre accusati a vario titolo di corruzione e favoreggiamento, pensando a come funzionino le cose a Catania viene in mente l’unica intervista che il fratello di Giuseppe, Ennio, non indagato ma socio della Virauto che sarebbe stata favorita da Impallomeni, rilasciò a Livesicilia nel lontano 2012 (guarda il video sopra). Un’intervista effettuata a Ragusa durante l’inaugurazione del parcheggio realizzato in project financing da una delle imprese del gruppo Virlinzi. Si parlava di pubbliche amministrazioni e il re del ferro e del cemento catanese apostrofò Ragusa come l’unico posto in cui nessun politico gli avesse mai chiesto soldi. “Negli altri posti ci sono varie situazioni”, aggiunse Virlinzi. Addirittura -sempre secondo il Cavaliere Virlinzi- il sindaco di Ragusa Antoci si sarebbe rifiutato di indicare personale da assumere dopo che era stato siglato il contratto per la metanizzazione.
Un fatto quasi “folle” alla luce di come funziona la pubblica amministrazione in una città come Catania in cui il favore rappresenta la regola, la condizione per far andare avanti qualunque cosa. Questo è emerso dagli atti giudiziari degli ultimi anni.
Una città in cui la corruzione è diventata ingrediente essenziale dei piatti più succulenti, con un ruolo di primo piano della politica e dei vertici di alcune istituzioni. Non a caso gli appalti più importanti, come quello del Cara di Mineo, sono stati travolti dalla corruzione e gli stessi imprenditori Bosco e Costanzo, icone del fare, simbolo della Confindustria della legalità, sono ai domiciliari per corruzione. La stesso appalto per la metropolitana è stata dipinto, dalla penna del pubblico ministero Antonino Fanara, come l’esempio più eclatante della corruzione negli appalti pubblici, dove le imprese controllate assumevano la sorella del direttore dei lavori controllore, i componenti delle commissioni di collaudo “collaudavano” le opere durante pranzi a base di pesce offerti dall’imprenditore e contemporaneamente, tra aragoste e marinati, certificavano gli stati di avanzamento lavoro. Tutto rigorosamente pagato dai cittadini.
Ed è qui, in mezzo alle macerie, che appare il ritratto che il procuratore Michelangelo Patanè, il Pm Barbara Tiziana Laudani e i vertici della Guardia della Finanza hanno fatto del giudice insospettabile Filippo Impallomeni: a spasso con l’auto fornita da Virlinzi con il tagliandino “giustizia tributaria”. In cambio di sentenze “aggiustate”. Chiunque ha conosciuto Impallomeni potrebbe mettere la mano sul fuoco sul suo conto, in molti attendono le repliche dei difensori per comprendere se sia possibile quello che viene descritto negli atti giudiziari. Se la decisione della Commissione Tributaria, frequentemente in grado di stabilire il destino di un’impresa, di un uomo, di un imprenditore, possa essere “aggiustata” al suon di autovetture in leasing o favorucci in pronta consegna. Se la differenza tra un’impresa florida e un’altra fallita, tra un imprenditore di successo e un uomo distrutto, possa dipendere da quanto si è disposti a pagare.
Viene così in mente il ritratto di una città, in cui chi ha occhio per le cose sa bene con quali auto girano alcuni politici di rango e chi le fornisce. Se chi fornisce le auto ottiene appalti e finanzia la politica. Di contro c’è anche chi muore di tasse, strangolato da sanzioni e debiti, chi si è suicidato.
Ecco quindi Catania, sorpresa nello scoprire come funzionano le cose, sospesa in quell’atmosfera ovattata dove sguazzano i colletti bianchi, pronta a cambiare tutto, perché tutto resti com’è.
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