L’Ars balcanizzata | e l’eterno bivio di Crocetta

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29 Aprile 2013, 06:00

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PALERMO – C’era una volta il sogno di un bipartitismo all’italiana. Lo coltivarono, visionari, politici a cui la fortuna non arrise, che sognavano, con l’avvento del maggioritario, di arrivare anche in Italia a un sistema con due grandi partiti, uno conservatore e uno progressista, che si alternano al governo. Com’è finita, poi, è storia nota. Il pluripartitismo è rimasto, sopravvivendo a ogni tentativo di soppressione, sviluppando anticorpi robusti ed efficaci. Ma che si arrivasse alla situazione siciliana, quella dell’Ars di questa fine di aprile 2013, forse non se lo aspettavano neanche i più fanatici sostenitori del proporzionalismo. A sei mesi dalle elezioni regionali, l’Assemblea regionale siciliana, alle prese con vecchissimi e poco commendevoli riti nell’approvazione del bilancio (come la triste questua della tabella H), si presenta balcanizzata come mai. Una sorta di Somalia in cui piccoli clan autarchici si parcellizzano e moltiplicano fino alla scissione dell’atomo, con un salire e scendere da un partito all’altro degno di una fermata della metropolitana nel centro di Londra.

L’ultima novità si chiama Articolo 4, ed è il movimento guidato dall’esperto Lino Leanza, che diventerà gruppo parlamentare con l’adesione di altri cinque deputati centristi. Un altro partito, che si aggiunge, e scusate se ce ne dimentichiamo qualcuno, a Pd, Pdl, Udc, Movimento 5 Stelle, Lista Crocetta, Democratici e riformisti, Cantiere Popolare, Pds-Mpa, Lista Musumeci, con le sottocategorie Grande Sud, Centro democratico, Voce siciliana, Megafono, Territorio, La Destra, Partito socialista, Fratelli d’Italia. E ci siamo limitati a menzionare le sigle rappresentate a vario titolo all’Ars. Se dovessimo aggiungere correnti e correntine, che si fanno la guerra con ferocia all’interno degli stessi partiti, non finiremmo più.

Una babele in cui ogni deputato si muove da solista, garante di microinteressi particolarissimi, complice il collasso dei partiti romani. Dalla cui crisi ciascuno spera di lucrare qualche spazio di manovra politica. Al centro c’è il maggiore affollamento. Il progetto di Leanza punta a incunearsi nella crisi dell’Udc, precipitata alle Politiche a percentuali da incubo. La “promozione” a ministro del leader centrista Gianpiero D’Alia, a meno di 24 ore dallo strappo ‘leanziano’, dovrebbe però aiutare lo scudocrociato ad arginare l’emorragia e a contrastare la nuova concorrenza.

Intanto, però, se i sei deputati di Articolo 4 si terranno fuori dalla maggioranza, così come hanno detto ieri, si torna ad avere a Sala d’Ercole un governo di minoranza. Che deve trovare altrove le stampelle per camminare senza cadere. Visti anche i continui sgambetti che gli arrivano dalla sua stessa pseudo-maggioranza (basti vedere, a titolo d’esempio, il tiro incrociato di fuoco amico su Nelli Scilabra). Crocetta, però, per quanto disturbato, non sembra preoccupato più di tanto. Le vicende della precedente legislatura hanno dimostrato che nessuna crisi politica può essere forte quanto l’istinto di autoconservazione dei deputati dell’Ars e la loro romantica devozione alla poltrona. La strada del governo, insomma, non si interromperà bruscamente. Ma continuerà su un percorso sempre più tortuoso. E con un bivio davanti. Da una parte il complicato feeling col Movimento 5 Stelle, che tra alti e bassi sembra in qualche modo sopravvissuto in questa sessione di bilancio. Dall’altra le grandi intese alla romana, con un Gianpiero D’Alia neoministro intenzionato a spingere in questa direzione.

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Sullo sfondo resta la partita di un probabile rimpasto. Nessuno lo dice ad alta voce, ma l’appuntamento è nell’aria. Ma gli appetiti da placare sono tanti, troppi, proprio in forza della balcanizzazione e all’abbondanza di deputati free lance (per non ricorrere al poco simpatico ‘mercenari’ pronunciato da D’Alia).

Fuori dai giochi di potere, invece, restano i problemi della Sicilia. Un Palazzo impegnato a garantire sacche assistenziali di spesa improduttiva, celandosi dietro il comodo slogan del no alla macelleria sociale, rinvia a provvedimenti amministrativi (ci auguriamo tempestivi) le poche misure previste in favore dello sviluppo, e appare ancora in ritardo nell’offrire risposte alle imprese e alle famiglie. In un clima incandescente e sotto l’assedio di una piazza inferocita – sulla quale sarebbe auspicabile che nessuno speculasse cinicamente giocando col fuoco – che ogni giorno di più sembra sfuggire di mano alla Politica.

 twitter @salvotoscano1

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29 Aprile 2013, 06:00

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