Amiamo l’estate per la sua aria di resurrezione. L’amavamo pazzamente da bambini, perché era la stagione in cui si posavano gli zaini, cominciavano i bagni e soprattutto ci consegnavamo, fino all’inizio successivo della scuola, a qualche mese di assoluta libertà. Ognuno di noi cova uno struggente rimpianto del tempo in cui tutti coloro che ci proteggevano erano felici ed erano vicini.
Da più grandi non abbiamo smesso di amarla, perché comunque offre l’illusione di una tregua in una guerra di autunni e di piogge. Ma questa è l’estate di una tragedia senza fine che ci lascia in pezzi e ci fa percepire una fragilità, una ferita, spesso cauterizzata con la rabbia.
E’ l’estate del lutto, dei bambini e delle mamme che muoiono per incidenti nati – questo sappiamo fin qui – dalla distrazione, da atteggiamenti criminali, dall’arroganza che non pensa agli altri e al cammino, da una insicurezza che ci indica tutti come bersagli. Non avevamo ancora asciugato le lacrime per i due cuginetti di Vittoria e piangevamo per il bambino dello schianto Alcamo, quando è giunta la notizia atroce di una mamma investita che dice addio a un figlio piccolo. Le indagini accusano il guidatore: sarebbero state rilevate tracce di droga.
Martina Aprile, una ragazza di Scicli, aveva appena finito di lavorare in un locale e stava buttando la spazzatura, prima di essere travolta. Chi era con lei adesso è ricoverato in ospedale. Lei non ha avuto scampo.
I fiori virtuali del dolore sbocciano sui social. “Ricorderò il tuo sorriso e la tua voglia di vivere per sempre. Mi unisco al dolore. Rip piccola Martina Aprile. Non ci credo ancora non doveva andare cosi. Oggi anche il cielo piange per te”. “E poi mi arriva questa bruttissima notizia il mio cuore si è spezzato in due Martina Aprile ragazza amica speciale ti voglio ricordare così col tuo bellissimo sorriso”. “Ciao Martina troppo presto per andare via, eri una ragazza solare dolce e bella ma soprattutto una grande mamma”.
Il posto del cordoglio è occupato dalla paura, da un sentore di precarietà che sovrasta il resto. Una macchina può in qualunque momento sbucare dal nulla e uccidere. Erano già tempi cupi, ora sono terribili. E questo calvario di bambini e mamme, di vite lacerate, oltre lo strazio di chi lo sperimenta in prima persona a cui mandiamo il più affettuoso abbraccio, comunica a tutti il gelo nel cuore.
E rivorremmo, con maggiore struggimento, l’estate come l’abbiamo amata, sapendo, certo, che le lacrime bruciano pure d’inverno. L’estate delle cabine, della risacca, delle partite a carte degli adulti che si interrompevano al tramonto, dei tuffi dagli scogli, delle siepi di gelsomino sulla strada del mare. E invece siamo qui, senza fiato, sulla strada del male. E possiamo soltanto rimpiangerle, come se le avessimo perdute per sempre, le ultime estati della nostra felicità.