TRAPANI – Un incarico delicato della cancelleria civile del Tribunale nelle mani di chi avrebbe cercato di ottenere soldi sottobanco per la sua attività. Un avvocato che si sarebbe prestata ad agevolare i desideri del cancelliere. Un impiegato in grado di andare a guardare fascicoli riservati. Una inchiesta importante che si è conclusa con due condanne e una pronuncia, dopo la riqualificazione del reato, di non doversi procedere per mancanza della querela da parte della persona offesa. Questa è la sentenza pronunciata dal tribunale di Trapani nel processo che ha visto imputati un funzionario ed un impiegato della cancelleria del Tribunale civile di Trapani e un avvocato.
I nomi dei condannati
Le condanne hanno riguardato i primi due: il cancelliere Antonio Bologna e l’ausiliare Paolo Sigona. Bologna (che durante il procedimento ha ammesso i fatti e reso ampia confessione) è stato condannato a quattro anni per i reati di falso, a Sigona è stato inflitto un anno (pena sospesa) per rivelazione di segreti di ufficio. Bologna è stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici ed è stato dichiarato estinto il suo rapporto con la pubblica amministrazione. Interdizione per un anno nei confronti di Sigona. Imputata nel procedimento anche l’avvocato Rosa Sanna, che assisteva suoi clienti interessati alle procedure alle quali il cancelliere Bologna doveva adempiere.
L’inchiesta
L’avvocato Sanna rispondeva con Bologna di tentata concussione, ma i giudici hanno riqualificato il reato: per l’avvocato Sanna in truffa, e per Bologna in tentata indebita induzione, e per tutti e due hanno dichiarato il non doversi procedere, in quanto, secondo l’intervenuta riforma Cartabia, si tratta di reati procedibili in presenza di querela, mancando questa ai giudici non è rimasto altro che dichiarare la non procedibilità. Pronuncia a parte, sono risultati consolidati da prove e riscontri, i fatti emersi da una indagine, condotta dalla sezione di polizia giudiziaria della guardia di finanza e coordinata inizialmente dal pm Marco Verzera e poi dal sostituto procuratore Francesca Urbani.
Pochi euro per fare dei favori
Inchiesta che ha svelato condotte e comportamenti fuori legge da parte di chi avrebbe dovuto garantire il pieno rispetto della giustizia civile. Al centro dell’indagine la gestione da parte di Bologna degli inventari legati a fallimenti o anche ad eredità e lasciti (volontaria giurisdizione). Secondo la ricostruzione offerta dal pubblico ministero ai giudici, Bologna avrebbe ottenuto e cercato di ottenere somme dai soggetti destinatari delle procedure, un paio i casi oggetto del processo, ingenerando la convinzione che si trattava di somme a lui dovute. Il fatto che possa essersi trattato di richieste di denaro irrisorie, cento euro, ma secondo le indagini i casi non sarebbero stati pochi e non sarebbero stati quindi solo quelli per i quali Bologna è finito sotto processo, non alleggerisce certo il peso dell’accusa: richiesta di cento euro che poi l’avvocato Sanna avrebbe trasferito ai suoi assistiti modificando l’entità, mille euro.
L’analisi del computer
Circostanze queste nelle quali il pubblico ministero ha ritenuto avere avuto un ruolo anche l’avvocato Sanna. Altro fatto emerso quello che gli inventari venivano redatti in assenza di sopralluogo e verifica diretta. Nel computer in uso al cancelliere Bologna sono stati trovati file di inventari che sono stati risultati creati con procedure informatiche intestate all’avvocato Sanna. Bologna e Sanna protagonisti principali di questa scena, dove la Sanna cercava di apparire ai suoi clienti come la persona “buona” che cercava di rabbonire il “cattivo” Bologna. Ovviamente a oliare questo sistema servivano i soldi, e nemmeno cifre parecchio alte, ma che , come ha detto il pm Urbani nella requisitoria, “nulla spostano rispetto alla sussistenza del reato”.
Le intercettazioni
A contribuire alle indagini sono state anche le intercettazioni: dall’ascolto dei colloqui, in particolare quelli dell’avvocato Sanna, gli investigatori ebbero a scoprire che in qualche modo gli indagati sapevano di essere sotto inchiesta. L’indagine subì anche una fuga di notizie, fatto che la Procura ha attribuito all’ausiliare Sigona, marito dell’avvocato Sanna, che avrebbe avuto modo di visionare un fascicolo nel passaggio tra la Procura e l’ufficio del Gip. Sigona, ha evidenziato il pm, era un addetto all’ufficio spese di giustizia, ma spesso era “senza giustificato motivo” negli uffici del gip. Ebbe così modo di sapere delle intercettazioni che stavano riguardando il cancelliere Bologna.