PALERMO- Si può fare scrivere a un alunno che è un deficiente, perché, insieme a due coetanei, impedisce a un compagno di classe di entrare nel gabinetto dei maschi dicendogli “non ti facciamo passare perché tu sei una femminuccia, un gay”? Giuseppina Valido, insegnante conosciuta da molti per la sua bravura, l’ha fatto. E la giustizia italiana l’ha condannata, rovesciando la prospettiva. Bullo non è il ragazzino che qualche attivista definirebbe un omofobo in erba. Di bullismo è colpevole la docente che ha abusato del suo ruolo, infliggendo una pena diseducativa. Scrive la Cassazione che è irremovibile: “Costituisce abuso punibile anche il comportamento doloso che – come in questo caso – umilia, svaluta, denigra o violenta psicologicamente un bambino, causandogli pericoli per la salute anche se è compiuto con una soggettiva intenzione educativa o di disciplina”.
C’è materiale incandescente per il dibattito. Nel frattempo, parola alla prof che è in pensione e prende la sentenza e le motivazioni dei supremi giudici come un affronto: “Soffro, soffro troppo. In questi anni ho sofferto tantissimo e solo per avere compiuto il mio dovere. La giustizia non protegge le persone perbene, non tutela proprio chi segue le regole. Adesso chiunque sarà sottoposto al capriccio del primo padre infuriato che bussa alla porta di una classe”. E’ un crinale difficile. Da un lato un comportamento sbagliato, dall’altro una sanzione che gli ermellini hanno valutato senza sconti. “Che vuole che le dica – sussurra al telefono l’insegnante – capisco che voi dovete scrivere. Io sto male. Sono in pensione. Noi professori siamo davvero alla mercé di tutti. Come hanno fatto a capire che è stato realizzato un danno? Il ragazzino è venuto a scuola tranquillamente, la bomba è scoppiata dieci giorni dopo, quando l’hanno saputo in famiglia. Non credo che così si persegua il bene dei ragazzi. Ora basta, mi scusi, sto male”.
E riattacca la prof, rimpiangendo la scuola di un tempo, quando prendevi una punizione e tuo padre a casa ti dava il resto. Una buona cosa di pessimo gusto, la scuola di una volta. Come scrisse un poeta che oggi nessuno ricorda più.