PALERMO- I ragazzi che amavano l’estate e hanno vissuto il loro ultimo giorno di sole ora sono lapidi e foto sparpagliate sull’asfalto di Palermo: sono tracce di amore, strali di nostalgia per coloro che ne condivisero il cammino. Poco altro resta.
In una delle strade interne di Mondello, c’è Salvuccio che era calciatore e figlio. Sorride da un altarino attrezzato per proteggerlo. C’è un Padre Pio impolverato, accanto a un angioletto e a Gesù Bambino. Il Paradiso è grande, serve una guida esperta per orientarsi: meglio non lesinare. C’è una stinta maglietta dell’Inter, c’è un arcobaleno stampato, c’è qualche pupazzetto dell’infanzia che prese per mano il bambino e adesso veglia sulla sua eternità.
In via Dell’Olimpo, ecco Giuseppe. Per lui hanno scritto: “La vita ha spezzato le tue ali, eppure tu, angelo, continui a volare”. Ci sono fiori, nelle vicinanze di una fermata dell’autobus. Qualcuno ha dipinto sul muro un gigantesco ‘TVB’. Anche Giuseppe sorride. I vivi depongono per i defunti immagini e oggetti che li ritraggono in splendida forma. E’ la speranza moltiplicata dallo smarrimento del lutto.
Tra i viali della Favorita – lì dove troppo noncuranti e potenziali assassini sfrecciano col telefonino in mano – lampeggia il ciuffo liscio di Andrea che aveva appena diciotto anni. La persistenza del distacco offre strane sensazioni in questi giorni caldissimi, come se l’estate della giovinezza e e l’inverno della mutilazione componessero le macchie di un quadro che confonde le sembianze dei trapassati e dei sopravvissuti.
Alessia è una bocca appena schiusa che lascia intravvedere un filo di denti bianchi accanto all’Ucciardone. Di lei non dimentichi lo sguardo, al declinare della curva: ciglia di sirena spalancate nella vastità di un mare.
I ragazzi che si sono smarriti nel loro ultimo giorno di sole hanno genitori che non li hanno mai dimenticati, né avrebbero saputo, perfino strappandosi il cuore. Papà Fortunato cura con pazienza il sepolcro di Salvuccio: cambia i fiori, piegando le spalle, sistema Padre Pio reclinato dal vento, recita una preghiera, poi va a lavorare. Il papà di Andrea non ha scordato il poco più che bambino che, quasi ogni sera, si accoccolava accanto a lui sul divano per guardare la televisione. La mamma di Alessia disse di lei: “Quando ti muore un figlio, si spegne un interruttore dentro di te”.
A Mondello, c’è un milite ignoto degli incidenti, con una lapide senza nome, accanto a un albero. La custode della memoria è una donna vestita di nero che viene la domenica mattina e si concede lacrime silenziose.
I padri e le madri di un ragazzo morto in uno schianto li riconosci subito: dai loro occhi non si cancella mai l’atroce sorpresa di una telefonata che annunciò che era finito tutto. Dormivano nel cuore della notte, quando squillò il telefono; oppure si erano appena alzati; oppure stavano lavorando, o stavano mangiando, bevendo: immersi nel rito quotidiano che rende ogni consuetudine perenne, legata a un filo sicuro. Quei padri e quelle madri hanno occhi con dentro il riflesso di un filo spezzato.
Era l’ultimo giorno di sole. I ragazzi che se lo videro sfilare dalle dita non conoscevano il finale.
Adesso, sopravvivono nei ritagli di facebook, nella luce polverosa che si poggia sul banco a scuola. I libri di italiano non saranno più aperti, l’amore bruciante dell’adolescenza non verrà più comunicato, il corpo non si scioglierà più nel ritmo di un ballo, il pallone di calcio resterà muto e orfano ai margini del campo. Qualcuno farà lo sforzo sovrumano di rianimare chi non c’è più con le parole. Ha scritto Alessandra Cipolla, professoressa di Luca Sidoti, diciottenne morto a Mondello. “Ti do un ultimo abbraccio con un cuore di mamma e poi di insegnante….”. Luca ha lasciato una stanza piena delle sue cose e una ragazza in ospedale a chiedere notizie di lui, mentre i compagni hanno riempito la casa della Zisa, per abbracciare meglio i genitori.
Forse sarebbero bastate più attenzione, più coscienza: dei giovani caduti o di chi gli tagliò – loro innocenti – la strada. Ci sarebbero meno lapidi, meno lacrime. Ragazzo che ancora corri sotto un cielo d’estate, tu che conosci istanti luminosi e fragili come cristallo, pensaci bene. In ogni momento della corsa, pensa agli occhi di tua madre.