Ma chi comanda nei partiti? | Tempi duri per le leadership

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23 Dicembre 2019, 06:03

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Un alone di incertezza avvolge la politica in questo ultimo scorcio d’anno. Accade a Roma, dove i destini del governo Conte bis sono ancora tutti da comprendere e così i futuribili scenari di alleanze. Accade per altri versi nella politica siciliana, con la Regione alle prese con la delicatissima crisi dei conti che rischia di ipotecare pesantemente le scelte dei prossimi anni a venire. Ma in Sicilia, il quadro generale di incertezza si caratterizza anche per la difficoltà di inquadrare leadership forti e definite all’interno dello scenario partitico. Un fenomeno che è segno dei tempi della confusa fase di transizione politica e che in Sicilia si presenta in modo trasversale.

Si è molto discusso, ad esempio, di quanto sta accadendo negli ultimi tempi in Forza Italia. Lì, una leadership c’è, ed è quella di Gianfranco Micciché. Ma lo stillicidio di abbandoni dei berlusconiani migrati uno alla volta verso altri soggetti politici del centrodestra, la dice lunga sulle difficoltà di tenuta di questo assetto. L’elenco è ormai lunghissimo: Lentini, Minardo, Caronia, Cannata, Genovese, Pogliese, Catanoso, tutti andati via così come altri amministratori locali. Da tempo si parla di un possibile riassetto ai vertici siciliani del partito di Berlusconi, ma la faccenda sta assumendo i contorni della stalla che si chiude quando i buoi sono ormai scappati. Un pezzo di partito resta saldamente ancorato alla leadership del presidente dell’Ars ma l’insofferenza tra chi resta c’è e non sono mancate occasioni per manifestarla.

D’altro canto, dall’altra parte della barricata, il principale partito del centrosinistra si trova da mesi commissariato, senza segretario dopo l’annullamento del congresso che aveva portato alla segreteria Davide Faraone. Il commissario scelto da Roma, Alberto Losacco, sta seguendo le attività di tesseramento, nei prossimi mesi partirà la stagione congressuale, ma prima della primavera inoltrata difficilmente il Pd siciliano avrà una guida pienamente legittimata dal voto degli iscritti. E questo, tanto più con una scissione subita di fresco, non è ovviamente un punto di forza. Nel Pd oggi non c’è chi comandi (ammesso che qualcuno abbia “comandato” mai).

Chi comanda allora nei partiti siciliani? La neonata Italia viva dei renziani ha avuto il suo battesimo siciliana non a caso a Catania, nel feudo elettorale di Luca Sammartino. Ma il recordman di preferenze dell’Ars adesso ha da pensare alla grana dell’inchiesta giudiziaria scaturita dalla meticolosa lettura del suo cellulare, con le chat che racconterebbero di un sistema di costruzione del consenso fondato sullo scambio. Accuse da cui Sammartino si difenderà ma che sono state un colpo per il partito di Renzi, che a livello nazionale già patisce l’assedio giudiziario legato alle vicende della fondazione Open. Resta il riferimento nazionale di Davide Faraone ma l’alba della stagione renziana non è stata affatto facile.

C’è poi quella galassia un po’ disordinata che si muove a sinistra del Pd, che sta al governo a Roma e che in Sicilia ha un solo deputato regionale, Claudio Fava. La sua resta una figura di riferimento in questo ambiente e chissà, domani potrebbe diventarlo per la coalizione, ma se c’è un ambiente in cui affermare e mantenere una leadership è da anni complicatissimi è proprio la sinistra-sinistra dei mille distinguo.

Quanto ai 5 Stelle, anche qui si fa fatica a individuare una leadership precisa. Giancarlo Cancelleri, che per anni è stato almeno implicitamente un punto di riferimento per il grillismo siciliano, si è spostato su Roma dopo l’incarico di viceministro. Alcuni big del partito siciliano, come Ignazio Corrao, hanno manifestato segnali di insofferenza.

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A destra, la Lega resta per i suoi affari siciliani affidata alle cure del senatore Stefano Candiani da Busto Arsizio, già sindaco di Tradate nel Varesotto. E se questo poteva avere senso ai tempi della Lega Nord, oggi che il movimento di Salvini ha rapidamente mutato pelle in partito nazionale e sovranista, la tutela lombarda del partito siciliano comincia a diventare un’anomalia. Una classe dirigente siciliana fatica ad affermarsi, si vedrà nei prossimi mesi quale ruolo assumerà la new entry Nino Minardo ma resta il fatto che oggi i big siciliani, da Gianfranco Micciché a Nello Musumeci, devono volare nella capitale per costruire interlocuzioni col Carroccio sulla Sicilia.

Sempre a destra c’è poi Fratelli d’Italia, che da un pezzo ha messo le ali nei sondaggi a livello nazionale. In Sicilia anche per questo partito una leadership chiara e riconoscibile non c’è. In Sicilia orientale Salvo Pogliese ha affermato il suo peso politico, ma le figure apicali dell’organigramma del partito non sono molto visibili nel dibattito pubblico.

Indiscutibile e indiscussa la leadership di Nello Musumeci in Diventerà Bellissima, ma il movimento del governatore continua a restare un po’ un oggetto misterioso che non ha ancora deciso cosa fare da grande. Si tramuterà in un partner locale della Lega come qualcuno vorrebbe? Si avventurerà nel tentativo di coalizzare forze meridionaliste come a un certo punto era parso si volesse fare? O si esaurirà in uno dei “partiti del presidente” legati a doppio filo a Palazzo d’Orleans, tipo il Megafono di crocettiana memoria?

Quanto alla galassia centrista, che comunque all’Ars (e in giunta) ha ancora un suo peso con i gruppi dell’Udc e di Popolari-Autonomisti-Idea Sicilia, qualche generale (o almeno colonnello) c’è, ma non si sa più bene di quale esercito. Sì, alle ultime Europee la candidatura di Saverio Romano con le sue settantamila e passa preferenze ha dimostrato che questo mondo ha ancora una sua vitalità sui territori, ma la difficoltà a inserirsi in un progetto nazionale rimane così come la frammentazione tra le diverse anime centriste.

E in una giungla di partiti acefali o quasi, districarsi tra le insidie con cui la Regione è chiamata a confrontarsi, diventa ancora più complicato.

 

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23 Dicembre 2019, 06:03

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