Ma quando arriva il medico?

di

03 Ottobre 2011, 17:48

2 min di lettura

Il malato di cancro è un uomo solo, più solo degli altri uomini soli. Ognuno è libero di coltivare e subire la propria solitudine, quando c’è la libertà della mente e la disponibilità del corpo. Per un malato di cancro è diverso. La solitudine non è un campo seminato a vetri, è uno tsunami che ha devastato le piantagioni, per lasciare un greto pietroso. Chi sente il dolore di una tale particolarissima condizione, chi – in infinitesimo – lo avverte non perché sia coinvolto nel fisico, ma perché una persona che ama è caduta nella rete della sofferenza cieca. E lo vedi guizzare l’amato o l’amata, con la lucentezza del suo sguardo e delle sue squame prigioniere,  mentre sperimenti la contraddizione di chi ama senza che ciò costruisca il miracolo di un intervento provvidenziale. Vorresti possedere la bacchetta magica del creatore, per separare il mare della carne e dello strazio uniti nella medesima acqua. Sei una creatura. E’ un buon momento per cominciare a credere.

A questo punto, sulla scena del disastro arriva il medico. La sapienza di oggi affida ai camici bianchi un ruolo soprattutto tecnico. Se hai le competenze e le conoscenze, se la malattia è in una fase da cui si può guarire, allora il dottore è indispensabile. Altrimenti è meglio che si faccia da parte per sgomberare lo spazio a vantaggio di altre figure deputate al trattamento degli interrogativi che non hanno risposta. Il problema etico e funzionale del medico contemporaneo risiede tutto nella capacità di non specchiarsi nella speranza dello sguardo che lo incrocia al bivio tra il bosco e il deserto. Ci sono tecnocrati e alchimisti del flacone che non sopportano il peso di un simile riflesso. Ti bruci come Icaro con le sue ali di cera. Vai in fumo proprio mentre tentavi la fuga dal labirinto del nonsenso che il dolore – specialmente il dolore senza rimedio – edifica.

Articoli Correlati

Sì, certo discutiamo della medicina della clinica Latteri. Discutiamone da civette e corvi al capezzale di Pinocchio. Il paziente è morto o è vivo? La ricetta che non salva, ma che allevia, è davvero necessaria? Le frasi della dolcezza inutile in corsia servono? Il rispetto è uno sciroppo che si esaurisce goccia a goccia? L’umanità è un abito da indossare o dismettere? Stupide cosette dentro parole neanche tanto belle. E la domanda fra la terra che sei e il cielo che osservi, non sapendo più se la vita stia sopra o sotto: ma quando arriva il medico?

Pubblicato il

03 Ottobre 2011, 17:48

Condividi sui social