Cronaca

Mafia, condannati col reddito di cittadinanza: sequestri a Palermo

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20 Febbraio 2021, 07:02

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PALERMO – Si va dal capomafia della Kalsa, Antonino Lauricella, che tutti chiamano lo scintillone, a Maria Vitale, figlia del boss di Partinico, Leonardo.

Sono in 26, tutti accomunati dal fatto di avere percepito il reddito di cittadinanza senza averne diritto. Per loro scatta il sequestro preventivo d’urgenza dei soldi incassati. Il provvedimento è stato disposto dal giudice per le indagini preliminari Ermelinda Marfia su richiesta del procuratore aggiunto di Palermo Sergio Demontis e del sostituto Andrea Fusco.

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Il sequestro coinvolge 26 persone, ma gli indagati sono 145 – sotto accusa anche i parenti di coloro che hanno percepito il sussidio – per un totale di 1 milione e 200 mila euro percepiti dal 2019.

I finanzieri del gruppo metropolitano di Palermo, agli ordini del colonnello Alessandro Coscarelli, hanno spulciato gli elenchi di chi percepisce il reddito di cittadinanza, incrociando i dati con quelli del casellario giudiziario.

La legge esclude dal Reddito coloro che hanno riportato nel decennio antecedente alla richiesta condanne definitive per mafia o reati aggravati dal metodo mafioso. A Palermo sono spuntati boss, estorsori, rapinatori e ladri che con il loro operato hanno agevolato la mafia.

Per ottenere il reddito il reddito di cittadinanza bisogna fare domande domanda all’Inps allegando un’autocertificazione che nei 27 casi sotto esame è stata falsificata.

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Sarebbe stato più opportuno, e meno dispendioso, eseguire i controlli in fase amministrativa piuttosto che demandarli alla magistratura e alle forze di polizia.

In Sicilia i nucleo familiari che hanno percepito il reddito di cittadinanza sono stati 162 mila nel 2019, diventati 198 mila nel 2020. La pandemia Covid ha messo in ginocchio migliaia di persone. Il sussidio è stato ed è fondamentale per la tenuta sociale del Paese, ma il sistema di controllo e assegnazione mostra falle inaccettabili.

Lo dimostrano le storie raccontate da Livesicilia. Dalla maxi truffa da 1,2 milioni scoperta a Catania ai mafiosi con il sussidio ad Agrigento che ricordano quelli scoperti ora a Palermo, dai furbetti rintracciati a Messina a quelli smascherati a Trapani, fino alla miriade di casi singoli che vengono fuori quando qualcuno finisce in carcere per un reato minore e si scopre che mentre incassa il sussidio arrotonda con lavori sporchi.

Gli indagati o i loro familiari hanno infatti subito condanne per mafia, tentato omicidio, estorsione, rapina, favoreggiamento, trasferimento
fraudolento di beni, detenzione di armi, traffico di sostanze stupefacenti, illecita concorrenza con minaccia o violenza, scambio elettorale politico-mafioso (tutti aggravati dal metodo mafioso).

“L’attività investigativa si inserisce in una più ampia strategia attuata dalla
Guardia di Finanza – spiega il generale Antonio Quintavalle Cecere, comandante provinciale della finanza – finalizzata a contrastare l’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia legale e l’illecita percezione delle risorse pubbliche destinate alle persone in condizioni di difficoltà”.

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20 Febbraio 2021, 07:02

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