Non avevamo mai pensato, finora, a Maurizio Zamparini in termini di autentico, ultimo e straziante dolore. L’abbiamo pensato come l’uomo dei sogni e poi, magari, come l’uomo da crocifiggere. Questo, perfino a prescindere dalle cose, nei sentimenti dei tifosi e di quelli che scrivono di calcio, tifando, anche se non possono dirlo a voce alta. E’ un mondo che vive di stati d’animo estremi e mutevoli, passando, con facilità, nei giudizi, dalla gogna al monumento equestre. Ma qui siamo davanti a qualcosa di abissale. A una terra che soltanto pochi hanno esplorato e che non si può raggiungere con parole umane. La terra, adesso, di chi ha perso Armando Zamparini, figlio di Maurizio.
Il dolore di un genitore che perde un figlio è un lembo di nulla situato in un orizzonte che tende all’infinito della pena. Chi lo abita, chi ha avuto una simile sorte acerrima, non comprende nemmeno il linguaggio affettuoso di quelli che gli stanno intorno con le intenzioni migliori. Perché le intenzioni migliori, talvolta, possono scalfire la glacialità un po’ più friabile di certe lacrime, ma non riusciranno mai a lambire le orecchie di un padre o di una madre che si trovano nella solitudine che non ha consolazione.
La città di Palermo per cui Maurizio è uno di famiglia, un parente – amato, odiato, oppure tutti e due i confini insieme – non sta restando in silenzio. Sta gridando forte e ci sta mettendo il cuore, come accade sempre, con infinito amore. Basta leggere i social per rendersene conto. Ed è un modo per dire: Maurizio, noi ci siamo, qui, accanto a te. Sappiamo che la nostra voce è impotente e che nemmeno la sentirai. Ma un giorno arriverà addosso a te e alle tua famiglia e sarà come una secchiata d’acqua calda, nel bel mezzo dell’inverno.
Alessio Cracolici, che del Palermo di Zamparini è stato una colonna, sul versante societario, prima di mostrare i suoi abbondanti talenti altrove, ha scritto su Facebook: “Mi ha offerto il suo affetto e tutto il suo aiuto concreto quando il mio (…), appena nato, è stato trasferito in terapia intensiva. Io non lo dimenticherò mai perché in quelle ore disperate ho sentito la sua vicinanza, non scontata. Ed oggi, che ha perso drammaticamente il suo Armando, vorrei poterla abbracciare. Come dopo una bella vittoria. Le sarò grato, per sempre!”.
Alessandro Amato, direttore di Trm, ricorda: “Mi è venuto subito alla memoria quel bellissimo bambino biondo che era sempre con lui, me lo ricordo qualche volta, mentre correva in campo durante gli allenamenti, mentre giocava a fine seduta con i calciatori. Ho potuto misurare questo dolore, l’ho visto con amici che hanno passato la stessa tragica esperienza. E poi sono papà. Lo sgomento è infinito”.
Non sappiamo ancora di cosa sia morto Armando, ‘Armandino’ come lo chiamano tutti. E non importa, perché quello che conta, adesso, è lo stringersi a chi soffre. Qualcuno, sì, lo rammenta che dava i calci a un pallone, in ritiro, sotto lo sguardo comprensivo del mister di turno. E noi vogliamo lasciarlo lì, mentre parole impotenti e amorevoli fioriscono. Un bambino che fa rimbalzare il pallone contro il muro, in un tempo intoccato, lontano dal lutto.