Musumeci e il gradimento in calo| Le dieci spine per il governatore

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09 Aprile 2019, 06:00

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A sedici mesi dalla nascita del suo governo, Nello Musumeci si ritrova ultimo nella classifica sul gradimento dei governatori di regione pubblicata dal Sole 24 Ore. Un brutto risultato – male fanno in realtà tutti i governatori del Sud – che parzialmente stride con altri recenti sondaggi che indicavano il mantenimento di un certo apprezzamento, almeno personale, del governatore.

Un risultato che però può stupire fino a un certo punto. Perché a questo punto del cammino, dopo il rodaggio del primo anno, che le Istituzioni regionali scontino un certo livello di sofferenza appare abbastanza evidente. E seppure il consenso personale del governatore ancora sembra tenere, diversi elementi congiurano ad appesantire il governo e a penalizzare il suo gradimento. Perché una corposa dose di buona volontà, un presidente galantuomo e assessori non certo improvvisati della politica possono comunque non bastare di fronte alle difficoltà in cui il Palazzo siciliano è invischiato. Tante difficoltà. E almeno dieci stanno pesando molto.

1) Anzi tutto, guardando al cammino del governo Musumeci, quello che si nota è un certo difetto di caratterizzazione dell’azione politica. Qual è la visione del governo, quale la sua impronta? Di destra, moderata, liberale? Quali sono i punti caratterizzanti del governo? Al momento, passando da un’emergenza a un’altra, questo si è compreso poco. Al di là del buon senso e della responsabilità del buon padre di famiglia, che Musumeci trasmette, l’identità del governo è rimasta un po’ annebbiata. Complici tutta una serie di fattori che cercheremo di riassumere.

2) Il grosso, grossissimo problema nel cammino del governo fin qui si è chiamato Ars. All’Assemblea la risicatissima maggioranza di Musumeci è subito evaporata. Tanto che presidente e assessori ripetono sempre che il governo non ha una maggioranza. La conseguenza è che a Sala d’Ercole si impantana sempre tutto. Dal primo giorno. E se un sindaco o un presidente di Provincia può magari cavarsela in un contesto simile, un governo regionale che può agire solo sul piano amministrativo ma che non riesce a cavare un ragno dal buco sul piano legislativo, è un governo azzoppato. E su questo bisognerà trovare una soluzione.

3) Il problema del governo all’Ars ne porta con sé un altro. Il governatore a inizio legislatura aveva annunciato di voler aprire una stagione di riforme, quanto mai necessarie alla Sicilia. Ma al momento, malgrado gli sforzi profusi, è persino difficile immaginare che queste riforme possano mai vedere la luce in un Parlamento che per il centrodestra ha assunto da subito le sembianze della giungla vietnamita.

4) Ad appesantire il clima attorno alle Istituzioni regionali poi, c’è stato il riaffacciarsi della “questione morale”. Le inchieste della magistratura sono tornate a far male alla politica, toccando anche il governo. Ed è chiaro che questo non aiuta a costruire un clima positivo per chi ha la responsabilità di amministrare.

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5) C’è poi lo spinoso problema del rapporto con il governo nazionale. Che sotto elezioni si è fatto sempre più complicato e spigoloso. Soprattutto nell’interfacciarsi con i ministri grillini. Addossare a Palermo la responsabilità di questo deterioramento dei rapporti istituzionali con Roma sarebbe iniquo, ma dai rifiuti alle infrastrutture i sintomi di un problema sono apparsi con nitore nelle ultime settimane.

6) A questo si aggiunge un problema tutto politico dentro il centrodestra. Una fibrillazione continua, inevitabile in un periodo di transizione in cui i rapporti di forza consolidati da molti anni nella coalizione si stanno capovolgendo, con una Lega in inarrestabile ascesa e Forza Italia nell’inedito ruolo di comprimario. Smarrimenti e mal di pancia non stanno giovando al centrodestra siciliano e si traducono spesso in quel pantano in cui resta invischiata l’Assemblea.

7) L’ascesa della Lega di Salvini affonda per certi versi le radici nello stesso humus in cui maturano le difficoltà del governo regionale. Che, per il profilo dei suoi componenti e soprattutto del suo presidente, è legato a una idea di politica tradizionale, diversa dal populismo degli slogan e dei social network. Una politica che oggi soffre a tutte le latitudini (politiche e geografiche) scontando la fatica nel contrapporre argomenti -quando ci sono – e ragionamenti alla scorciatoia degli slogan che solleticano la pancia dell’elettorato. E di tutto questo quella politica vecchio stampo paga dazio, inevitabilmente. “Questo nuovo stile istituzionale e sobrio è apparso fuori moda”, ha commentato lo stesso Musumeci.

8) In questo contesto, probabilmente non ha giovato al governo Musumeci la difficoltà nell’assumere posizioni nette contro un chiaro disegno a trazione nordista, che ha il suo garante nella Lega, che è in atto e che vede nel “regionalismo differenziato” la sua testa d’ariete. La prudente gestione dei rapporti con l’alleato ha dato l’impressione di legare un po’ le mani alla Sicilia su questo fronte, appannando anche gli sforzi – ci sono stati e sarebbe ingiusto negarli – per rivendicare un trattamento accettabile per la Sicilia, si pensi a come il governo ha alzato la voce sulle infrastrutture con Anas e Ferrovie, o alla faticosa partita sugli accordi relativi alla finanza pubblica.

9) Da ultimo, anzi da penultimo, il governo forse sta pagando anche una certa evanescenza, più dal punto di vista comunicativo che dell’azione amministrativa, di certi suoi componenti. La “timidezza dell’assessore”, chiamiamola così, non è un buon affare in tempi in cui, per citare un alato testo di letteratura contemporanea, è “più importante condividere che vivere”.

10) Last, but not least, c’è il problema dei problemi. Si chiama Sicilia. È quello di una regione devastata. Con indicatori economici da depressione. Con un tragico processo di svuotamento in corso. Con un fardello di ritardi ammassati nei decenni figli di una sconfinata sequela di errori, commessi in buona e in mala fede. Con l’eredità pesante di una stagione, quella dei governi di Rosario Crocetta, che ha lasciato altre macerie qua e là, dalla formazione alle ex Province, e chi più ne ha più ne metta. Immaginare che in un anno si possa riemergere da una situazione di questo tipo è pura utopia. E infatti Musumeci ripete spesso che questo è il tempo della semina e che poi verrà quello del raccolto. Ovviamente c’è da augurarselo per la Sicilia. Consapevoli però che in politica, tanto più ai giorni nostri, i tempi non si possono dilatare troppo senza pagare un grosso prezzo in termini di consenso. E al momento, di “fioriture” e germogli non se ne vedono ancora.

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09 Aprile 2019, 06:00

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