Non c’è più il Movimento di una volta | La manovra e la metamorfosi grillina

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06 Maggio 2020, 06:04

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Non c’è più il Movimento di una volta. E non è detto che sia un male. La Finanziaria regionale ha lasciato, sulla polvere di Sala d’Ercole, i cocci del partito grillino. Entrato nel Palazzo dei normanni per scardinarlo, per far venire giù i privilegi della casta, ha finito per frantumarsi contro le necessità della politica.

Il voto del parlamentare mazarese Sergio Tancredi a favore della maggioranza e del governo Musumeci, il governo e la maggioranza degli “impresentabili”, come ripetevano i grillini in campagna elettorale, non va sottovalutato, né derubricato come una faccenda di cui si occuperanno i probi viri, pronti a sospendere, censurare, espellere. La vicenda di Tancredi, espulso dai Cinquestelle un paio di mesi fa, infatti, non è, per intenderci, un “caso Venturino”, primo deputato regionale a “disertare” (nella ricostruzione pentastellata), di fronte al luccichio dell’indennità parlamentare.

Non lo è, perché il voto di Tancredi a favore di Musumeci è solo l’avvisaglia, solo l’avanscoperta di un disagio, di quella frantumazione che ha già mostrato le nuove crepe: quattro parlamentari grillini hanno deciso di astenersi in occasione del voto alla Finanziaria e di “assentarsi” quando è toccato al Bilancio. Di non votare contro, cioè, decidendo di non decidere se essere a favore o contro il governo del centrodestra, ma solo per il momento. Mangiacavallo, Foti, Pagana e Palmeri, infatti, rappresentano come Tancredi, sebbene a uno stadio ancora prudente, il segno di quella metamorfosi che ha trasformato il Movimento di una volta in un’altra cosa.

E basterebbe non avere la memoria cortissima, per ricordarsi gli anatemi contro la “casta” (qualcuno ha più sentito usare questo termine, dalle parti di Palazzo dei Normanni?), le mozioni di sfiducia, i toni accorati dal pulpito, le crociate contro ogni simbolo vero o presunto di quel potere. Anche all’inizio della legislatura, quando un lungo corteo accompagnò i Cinquestelle usciti ancora più forti dalle Regionali, verso la seconda legislatura all’Ars. E intanto, dalle biciclette si passava alle grosse macchine, dalle t-shirt agli abiti eleganti. Non c’è ovviamente nulla di male. E non è una questione di immagine esteriore, ovviamente. Il tema è tutto nella sostanza che nella politica si esplica anche nei simboli, nel linguaggio. Fornito, quello dei nuovi grillini, dell’armamentario della vecchia politica nel quale spicca il richiamo al “senso di responsabilità”.

Nonostante l’apparenza, non vuole essere, questa, una critica. La metamorfosi grillina era un esito prevedibile e ampiamente previsto. Anche dai “volponi della vecchia politica” che li aspettavano al varco e che oggi sono pronti a blandirli, magari a proporre loro qualche candidatura alle elezioni amministrative, per disinnescare quella che sembrava una “bomba a orologeria”.

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Che significa, adesso, questo cambiamento? Che effetti avrà sugli equilibri della politica siciliana? Intanto, è apparsa ufficiale nell’ultima finanziaria, dopo essere parso evidente a tutti da tempo, la spaccatura del Movimento. In almeno tre anime: i ‘lealisti’ a un partito che però in questo momento non ha un capo bensì un reggente, i dialoganti con i partiti per tanto tempo nemici, gli aspiranti rinnovatori.

Di sicuro, stando ai numeri dell’Aula, il primo effetto è quello di rafforzare una maggioranza, quella del governo Musumeci, che è capace di litigare più con se stessa che con l’opposizione. La “stampella”, avrebbe scritto qualcuno, un rinforzino che torna buono. E che genera, tra i deputati berlusconiani, lombardiani, ex cuffariani, siculoleghisti, anche qualche complimento: “Quello lì è molto bravo”, “quell’altro è molto intelligente”, “quell’altro ancora è molto furbo”. E non c’è dubbio, ovviamente, che il gruppo dei Cinquestelle possa contare al proprio interno intelligenze e qualità, così come gli altri partiti, che possano attrarre altre forze politiche in vista delle competizioni che verranno. Quello che stordisce un po’ è questa strana, nuova affinità tra la casta e l’anticasta – fate passare la dicotomia già obsoleta – a sorprendere è questa serenità di rapporti, tra chi doveva abbattere i palazzi e chi li rappresenta da molti anni.

Ma non è un male, si diceva. Ed è ovvio che la vicenda nazionale influisca eccome. Il richiamo alle responsabilità di governo ha cambiato tutto. E nulla potrà essere più come una volta. Le alleanze variabili, faticosamente giustificate di volta in volta, (restiamo da soli, la Lega, la sinistra…) hanno mutato geneticamente un movimento che adesso è di fronte alla scommessa più grande. Quella di essere una forza in grado di fare politica “per” e non soltanto “contro”. Anche qui, in Sicilia, dove l’anticasta ha prodotto il pieno di voti.

La scommessa è quella di superare le contraddizioni, e scegliere. Anche se la scelta è tra un proprio ministro come Alfonso Bonafede e un magistrato giustamente osannato fino a ieri, come Nino Di Matteo. Ora i Cinquestelle sono di fronte al momento più importante, anche e soprattutto in Sicilia, granaio (giusto per tornare a quell’armamentario) dei loro voti: quello in cui dovranno dire cosa sono. E non solo contro cosa si battono.

Un passaggio politico importante quindi, quello della scorsa Finanziaria. Che certifica ciò che era già chiaro. E che, allo stesso tempo, apre un altro fronte. I grillini “responsabili”, dialoganti e più “morbidi”, infatti, ora rischiano di lasciare libero il campo che era loro, e che in Sicilia potrebbe essere presto invaso da qualcun altro. È il campo politico, sempre fertile, della protesta.

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06 Maggio 2020, 06:04

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