Atto dimostrativo, non per uccidere | Ecco perché sono stati liberati

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24 Febbraio 2018, 18:52

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PALERMO – L’accusa di tentato omicidio non regge al vaglio del giudice per le indagini preliminari. Sarebbe stata un’azione punitiva e dimostrativa ma non un raid con l’obiettivo di uccidere. Ecco perché sono stati scarcerati i due militanti di estrema sinistra accusati del pestaggio di Massimo Ursino, dirigente di Forza Nuova. Il gip Roberto Riggio ha convalidato il fermo di Gianmarco Codraro e Carlo Mancuso, difesi dall’avvocato Giorgio Bisagna, ma ha deciso di applicargli la misura cautelare del divieto di dimora lontano dalla provincia di Palermo.

Secondo il giudice, va contestato il reato meno grave di lesioni aggravate. Di avviso opposto era stata la procura che nella richiesta di convalida del fermo aveva parlato di un’aggressione premeditata. Sono diversi i punti elencati nel provvedimento del giudice che a suo avviso non farebbero configurare l’ipotesi di tentato omicidio. Eccoli: le otto persone che hanno aggredito Ursino non erano armate, ma lo hanno colpito con calci e pugni; se avessero voluto ucciderlo avrebbero indossato scarponi pesanti, non di certo quelle da tennis; chi vuole uccidere una persona non perde tempo, dopo averlo scaraventato per terra, a legarlo mani e piedi con del nastro adesivo; il fatto che sia stato girato un video per rivendicare l’accaduto non si concilia con un piano di morte ma con una azione dimostrativa. Tutti questi motivi hanno convinto il giudice Riggio dell’opportunità di contestare il reato di lesioni aggravate e non quello di tentato omicidio.

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Da qui la scarcerazione dei due militanti di estrema sinistra di cui però vengono elencati i precedenti: risse, manifestazioni violente, per le strade ma anche allo stadio.

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24 Febbraio 2018, 18:52

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